venerdì 20 maggio 2016

D'Artagnan, i tre moschettieri e le conchiglie all'ortolana



Ero la piccola di casa, ammiravo i miei tre fratelli e volevo essere come loro, li imitavo e li importunavo ripetevano, perché chiedevo di partecipare ai loro giochi. Anche se, come diceva mia madre, eravamo simili, in effetti erano molte le differenze fisiche e caratteriali: Agnese e Gaetano, eredità normanna, da piccoli erano biondissimi, occhi verdi e longilinei; la biondina, così chiamavamo mia sorella, responsabile, per la sua giovanissima età, di carattere deciso ma vezzosa perché molto coccolata dai nonni e dalle zie, era la prima nipotina; Gaetano era il bello di casa e il più giocherellone. Antonio e la sottoscritta, più svevi, eravamo bruni, occhi castani e non molto alti: Il mio fratellone era di carattere tranquillo, un po’ spigoloso ma molto affettuoso ed io, tenera e carina, "non bella" come mia sorella, giudizio che mi ha accompagnato tutta la vita, ero la guascona, il D’Artagnan, accettata dai tre moschettieri, per stanchezza. Abitavamo, a Paternò, in una piccola via che poteva considerarsi un paesino in miniatura: Poche case, a due piani, il fornaio, la bottega di generi alimentari, la piazzetta, l’ortolano e il lavoratore di marmi, si conoscevano tutti. Questo permetteva alle famiglie di essere tranquille nel lasciare giocare i loro figli in strada ed era quello che avveniva per molti bambini. Purtroppo non sempre per noi, mia madre non permetteva a noi bimbe di giocare in strada mentre era più permissiva con i maschi: Antonio e Gaetano andavano in giro, per il paese, con gli amichetti a fare la guerra e  capitava spesso che mia madre venisse chiamata perché  ne avevano combinata una delle loro come quando mio fratello  Gaetano, per salvare il fratello, che era stato catturato in battaglia, aveva legato ad un albero il nemico, un povero ragazzino, e si rifiutava di liberarlo. E quante volte ho invidiato i bambini che giocavano in strada scalzi: Che libertà! Alla mia richiesta, mia madre rispondeva, dandomi motivazioni sociali ma soprattutto igieniche, e mi invitava a trascorrere il tempo disegnando, cioè scarabocchiando. Il rapporto tra i due fratelli maggiori era difficile, litigavano spesso, e a turno rivendicavano il diritto di ruolo, la prima perché era la più grande il secondo perché era il maschietto di casa e capitava molto spesso che, oltre alla dialettica, tentassero di sopraffarsi ed ecco intervenire mia madre, che vigilava affettuosamente; purtroppo la diatriba non è mai finita, ancora da adulti e genitori, continuavano a rivendicare questo diritto, in modo vivace.
 Il bel tempo ci permetteva di  trascorrere le giornate, in campagna, proprietà del nonno, dove,  stranamente, riuscivamo ad essere complici. Si, i tre moschettieri, come chiamavo i miei fratelli, riuscivano a diventare “uno per tutti e tutti per uno”, insieme alla rompiscatole, come mi definivano. Quel luogo, espressione della natura con gli alberi di agrumi, da frutta, l’orto con i suoi colori, il bruno della terra che si alternava al verde delle più svariate colture, gli odori e a poca distanza, l’acqua rossa ferrosa che sgorgava spontanea da una roccia e della quale si diceva fosse curativa, gli uccelli e i tanti animali che noncuranti continuavano la loro vita, ma soprattutto il senso di libertà che quello spazio sconfinato  dava, ci rendeva felici. Durante la giornata ci si sparpagliava per la campagna, mia sorella si dedicava alla lettura, i miei fratelli andavano alla ricerca di animali feroci, così dicevano, cercando di spaventarmi perché non li seguissi e noi, io e la mia mamma, andavamo a raccogliere la frutta che a me piaceva tanto, a merenda. Ma il gruppo si consolidava alla richiesta di mia madre di raccogliere, i piselli e le fave nell’orto, e noi ne mangiavamo tanti durante la raccolta, per preparare: “Le conchiglie all'ortolana”, così mia madre chiamava il piatto (quando andavamo in campagna si mangiava, per praticità, “la scacciata” e il primo si spostava alla sera). E’ una ricetta povera e semplice e decisamente gustosa e saporita, appartiene alla sapienza della campagna e col tempo è entrata anche nella cucina, cosiddetta colta. E’ di facile preparazione, e per chi ha poco tempo, è il piatto giusto, figlio di quella terra che regala dolcezza e bontà. Provateci!
E per me, è una ricetta della memoria e dei ricordi dell’infanzia: Ogni volta che preparo questo piatto e lo faccio spesso, mi ritrovo in campagna con i miei fratelli, i due normanni li ho persi troppo presto, e la mia mamma che con pazienza mi aiutava a raccogliere la frutta, per la mia merenda.


Conchiglie all'ortolana (fave e piselli)

Ingredienti    per 4 persone
½ kg di pasta ( a me piacciono le conchiglie perché si riempiono di fave e piselli)
1 kg di Piselli, 1 kg di fave, 2 cipolle tagliate a rondelle, foglie di basilico, olio extravergine d’oliva, sale e pepe

Preparazione
Dopo aver versato in un tegame, con abbondante olio, le cipolle tagliate sottili, i piselli, le fave, sale e pepe, far rosolare per circa 3 minuti, quindi aggiungere mezzo bicchiere d’acqua e far cuocere a fuoco moderato, coprendo con il coperchio, prima di spegnere aggiungere qualche foglia di basilico.
Cuocere le conchiglie e scolarle al dente, conservando un po’ di acqua di cottura; versare la pasta nel tegame, tenendo la fiamma accesa, e mescolare con il condimento, aggiungendo un po’ di quell’acqua, messa da parte, se risultasse asciutta.
Servite, aggiungendo, se volete, del formaggio; io non lo aggiungo, preferisco che prevalgano i gusti degli ortaggi.


1 commento:

manu ha detto...

bellissimo questo ricordo....a tratti anche un po' doloroso.

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