martedì 10 maggio 2016

Le linguine al picpac e il dialetto palermitano






A luglio del 1952, con la chiusura dell’anno scolastico, abbiamo raggiunto la zona del palermitano perché il nonno, aveva deciso di andare in pensione e ritirarsi a casa della zia, " permettendo" a mio padre  di ricongiugere la famiglia. La decisione dell'ottantaseienne Marx,  come lo chiamavamo noi nipoti per la lunga barba bianca, aveva meravigliato tutti e soprattutto gli abitanti del paese che ne apprezzavano la personalità, l’autorevolezza, la scrupolosità e, come dicevano, la capacità, con il suo comportamento, di “ mitteri o so postu i malandrini”.
Invece la partenza da Paternò era stata dolorosa ed emozionante, soprattutto per me: Il nonno Nino, che era stato il mio compagno di giochi e di vita, nascondendo le lacrime, mi raccomandava di fare la brava, di tornare spesso a trovarlo e di ricordarmi sempre che nelle piccole cose avrei trovato gioia e serenità. Aveva proprio ragione! Ancora oggi il mondo contadino mi accompagna: I cibi, gli ingredienti, gli odori, la spontaneità e la semplicità nel rapporto con gli altri, ne è un esempio.
Giunti nella nuova abitazione, ci aspettava  la cameriera Peppina che, vista l’ora, aveva preparato il pranzo, costituito anche da “Linguine al “picchio pacchio”. Non potete immaginare lo stupore e il disagio nel sentire questo termine perché, nel catanese, indica il sesso femminile e mio padre, anticipando una possibile domanda, ci spiegò che l' onomatopeia era associata al “picpac…” che fa il pomodoro quando cuoce. Vi assicuro che non è stata l’unica parola che ci ha creato qualche problema: “Muffuto” cosi  era stato apostrofato mio fratello, in classe, dal compagno, sconvolgendo mia madre, pensava alla muffa, che non sapeva che il termine significasse spione,  e  non parliamo delle difficoltà nell’acquistare i vari formati di pasta: a Catania“I curadduzzi , coralli come quelle delle collane, a Palermo si chiamavano ditalini e quante altre volte si tornava a casa per spiegare che quello che cercavamo apparteneva ad altro formato; e ancora il verbo infilare e inficcare, l'uno palermitano l'altro catanese, con significato sessuale.
La “salsa a picchio pacchio o pic pac”, primo piatto della cucina palermitano, è stato apprezzato subito da tutti noi perché buono, di facile preparazione ma soprattutto perché rispecchiava il gusto e la genuinità dei cibi della cucina dei nonni materni: L’odore erboso dei pomodori appena raccolti, quello pungente dell’aglio e il profumo del basilico, il cui aroma rende il gusto inconfondibile.
La salsa dà gusto anche alle le minestre e alla pasta coi tenerumi, verdura che trovo in estate  al mercato dei contadini di porta palazzo di Torino,  e con la borragine o  coi babbaluci ( lumache) al pic pac.
La qualità privilegiata è il pomodoro sammarzano o il riccio a canestro corleonese, dal gusto antico che, in inverno, è sostituito da quello in scatola, di una buona qualità.
E' talmente semplice e veloce preparare questo piatto che puoi contemporaneamente occuparti della salsa e della cottura della pasta.
                                               Le linguine a picchio pacchio
1 kg di pomodori sammarzano o riccio a canestro, pelati, senza semi e schiacciati con la forchetta, aglio 2 spicchi, un mazzetto di basilico, sale, olio extravergine
Linguine ½ kg
La preparazione
A differenza dei palermitani, (friggono cipolla e aglio e poi aggiungono il pomodoro) mia madre, ritenendo che i gusti sarebbe rimasti” più netti ”, preferiva cuocere, in padella, tutti gli ingredienti insieme: Il pomodoro pelato e senza semi, schiacciato con la forchetta, olio extravergine, l’aglio e una parte di basilico, salare e cuocere per circa 10 minuti, ricordandosi di aggiungere, prima di spegnere, il resto del basilico. Dopo aver scolato la pasta, versarla in padella e amalgamarla con il pomodoro. Servire a tavola con qualche foglia di basilico fresco e buon appetito.  


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