giovedì 5 maggio 2016

Catania, la mia sicilianità e il cibo di strada



La mia sicilianità, mix di due culture, quella del catanese, dove sono nata, e quella del palermitano, dove sono vissuta fin dall’infanzia, mi permette di trattare la cucina di strada a Palermo e a Catania in modo personale; in quelle strade, animate dai richiami dei venditori, ho potuto assaporare pietanze gustose e particolarmente stuzzicanti.
La mia esperienza comincia a Catania quando piccolina accompagnavo la mia mamma a fare acquisti per la città, dove si faceva la prima colazione con latte di mandorla e iris e si concludeva, prima di tornare a casa, con l’arancino per me e, per la mia mamma, la cipollina, specialità  che acquistavamo per strada, fra le bancarelle: E’ la famosa cucina di strada che era ed è una tradizione che affonda le sue radici nella storia della città e nella contaminazione culturale con i popoli mediterranei: Una gastronomia da passeggio, che mantiene il legame con la cucina casalinga, consumata velocemente.
La cucina di strada, con il suo dedalo di vie, con i cibi economici, cucinati e consumati velocemente, é una ristorazione, a cielo aperto, un’antica e radicata consuetudine culturale.
E' un viaggio alla ricerca della ristorazione di strada, diffusa in tutta la città, abitata da chi vuol mangiare ancora autenticamente catanese.
Fiorisce soprattutto nei mercati, luoghi autentici come la pescheria, detta anche “Fera di lune” ma anche nei carretti vocianti, che girano per la città e nelle friggitorie: E’ come partecipare ad uno spettacolo teatrale.
Per dissetarsi, meta obbligatoria sono i chioschi, disseminati in ogni angolo della città, per un selz limone e sale, la bevanda estiva, quindi ci si può fermare in una delle tante “putie” ( le osterie di un tempo) per rifocillarsi con un panino di carne equina.
“L’arrusti e mangia” è infatti  un modo per indicare la consumazione della carne e in particolare quella di cavallo e di asina arrostita e i clienti, mentre aspettano, possono attingere ad un buffet di antipasti, ricco di tipicità come gli spiedini e le polpette,  posti sui tavolini alla buona, disposti sul marciapiedi.
Il famoso mercato del pesce è il più grande d’Italia, meglio noto come la pescheria, dove prima del palato sono gli occhi a gioire e dove la confusione, i profumi e i colori riportano molto più facilmente a suggestioni da bazar.

Vi si possono assaggiare vassoi di cicireddi, pesci piccolissimi infarinati e pronti ad essere fritti e mangiati all’istante, il mauro, “u mauru” in dialetto, alga croccante che si gusta con sale e limone oppure all’aceto, ormai talmente rara, da essere una delizia da vero gourmet.

Si tratta di un’erba marina dai lunghi filamenti callosi, che cresce spontanea lungo le coste laviche catanesi ma che è quasi scomparsa, per l’inquinamento. E ancora si possono gustare preparati di maiale, come il “sanguinaccio”,  il sangeli in dialetto ( a base di sangue di maiale) e lo zuzzo ( gelatina di carne).
In rosticceria si può gustare l’arancino, chiamato al maschile, grazie all’ambiguità della lingua siciliana che, per alcuni termini, accetta sia il maschile che il femminile ( a Palermo si chiama arancina e ha forma rotonda), la celeberrima cipollina, (specialità a base di pasta sfoglia, pomodoro, cipolla, mozzarella e prosciutto) e la mitica cipollata (pancetta di maiale , avvolta su cipolla lunga).
Cibo, Frutta, Agrumi, Cedro, EbraismoE ancora "le crespelle c’anciova e ca’ ricotta”, presenti sulle tavole anche a Natale  e San Giuseppe, sono delle frittelle di semola che vengono impastate con filetti di acciughe e ricotta, che vengono gustate  nelle rosticcerie. E’ facile era incontrare, per strada, anche i carretti colmi di “piretti”, cedri tagliati a fettine, disposte in piattini e conditi col sale.
Andando in giro per la città, è facile incontrare persone che mangiano passeggiando, a qualsiasi ora e soprattutto con le mani. E’ uno spettacolo!

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