giovedì 7 aprile 2016

La bontà della caponata? L'estro di chi la cucina!



Ormai ero un’esperta! Dell’orto sapevo tutto, avevo costretto, tante volte, il nonno a fermarsi e spiegarmi le varietà degli ortaggi a insegnarmi come tagliare il peduncolo dei peperoni e delle melanzane e di quest’ultima sapevo anche la qualità da scegliere, a seconda della ricetta. "E si,se vuoi fare le cotolette di melanzane, diceva, scegli quelle grandi, rotonde, lilla chiaro, che sono le più dolci, quelle che noi chiamiamo tunisine, se invece vuoi friggerle a fette, da mettere sulla pasta col pomodoro fresco, scegli le viola lunghe e dolci  ma se vuoi preparare la caponata non puoi non scegliere quelle con la pelle scurissima, lucida e con la polpa resistente, compatta che rimane integra anche dopo la doppia cottura e amarissima, l’amaro si combina bene con l’agrodolce, e poi non assorbe l’olio di frittura". 
Incredula gli chiesi se lo avesse saputo dalla nonna e lui, sorridendo, rispose: "Ma no, che uomo della terra sarei, se non conoscessi le caratteristiche delle piante e dei prodotti dell’orto; la caponata, per esempio, avendo alcuni ingredienti dolci come le patate, il sedano e la  stessa cipolla, deve essere equilibrata, nei sapori,  e la melanzana amarognola è quella giusta".
La nostra caponata, infatti, è corposa, ha tanti ingredienti: Melanzane, peperoni gialli e rossi, patate, cipolla, sedano capperi, olive e, qualche volta, anche l’aglio, tutto in agrodolce. E noi ragazzi, soprattutto mia sorella Agnese a cui non piacevano i peperoni, non la mangiavamo volentieri, abbiamo capito, molto tempo dopo,  che i gusti e gli odori, nel sovrapporsi, perdevano la loro caratteristica e che i tanti ingredienti, insieme molto pesanti, avessero lo scopo di sfamare  più che farsi gustare.
A Palermo, scoprimmo un’altra caponata!
Eravamo arrivati da qualche giorno, nella nuova casa e l’invito, a cena, della zia Mariuccia arrivò inaspettata ma provvidenziale e avremmo apprezzato, più tardi, la sua generosa, disponibilità e soprattutto l’umanità; tanti i piatti, per noi una sorpresa, e tutti molto buoni come lo sfincione di carciofi, con un gusto eccellente, e anche la caponata che, ultima portata di antipasti, fu una scoperta. Era una versione semplice e con pochi ingredienti: Melanzane fritte ma tagliate a tocchi grandi, olive intere schiacciate e senza osso, e il pensiero al mio nonnino si fece subito largo, nella mia mente, tocchetti di sedano ben visibili, capperi e l’agrodolce. Mia madre fece i complimenti alla zia per la splendida serata e l’ottima cena e  poi si soffermò sulla ricetta della caponata locale: Hai visto ,Mariuccia, come i ragazzi hanno gustato volentieri la tua caponata, facendo addirittura il bis, posso chiederti, gentilmente, qual è il segreto  di questo piatto? La zia, avremmo scoperto, col tempo quanto fosse affettuosa, amabile, disponibile e generosa, fu estremamente sincera: La bontà di questo piatto? Si deve all'estro di chi la cucina e anche alla giornata: Versioni diverse le trova nella stessa famiglia, nello stesso paese  e nella stessa provincia. Deve prenderci la mano e ricordarti che nessuna caponata è mai uguale alla precedente o alla successiva:L’importante  è l’equilibrio tra lo zucchero e l’aceto, non troppo dolciastro né troppo “acitusu”(acidulo), una formula che ogni massaia custodisce gelosamente e che crea un equilibrio tra i contrasti. E della lezione mia madre ne fece tesoro e creò la sua caponata che, ancora oggi, è la caponata di casa Lombardo, aveva avuto una buona maestra che le insegnò tante altre ricette palermitane; la zia Mariuccia era adorabile, anticonformista, in una terra dove il posto della donna era ben definito, e felice del bene altrui, per noi è stata una seconda mamma, come a Paternò lo era stata zia Nunzia.  La zia del cuore, così la chiamavamo, insegnava nel paesino dove vivevamo e quindi spesso, prima di andare a scuola, faceva la sosta a casa per prendere un caffè e fare due chiacchiere che rileveranno la sintonia tra loro: Zia Mariuccia, donna libera, prorompente nella sua voglia di emergere nel lavoro e nella vita e mia madre femminista, combattiva, per conquistare il suo spazio di donna, si ritroveranno in una comunione di intenti e di affetti. Era proprio un personaggio, la zia del cuore, riusciva a rendere leggera e piacevole qualsiasi conversazione e soprattutto era l'amica più cara di tutti i nipoti, quanto ci manca!       


La caponata conosce molte varianti ma la più antica prevede "gallette da marinaio, capperi salati, olive verdi, acciughe salate, fletti di tonno salato, olio d'oliva, aceto, miele e sale"; si diceva, infatti, fosse il piatto dei marinai che ammorbidivano le due gallette, che definivano capponi di galera, il nome era nato nella caupone, termine con il quale, la bassa latinità, designava la taverna.
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Caponata alla palermitana

Ingredienti
4 melanzane,  300 g. di pomodori, 2 cipolle tagliate a rondelle, 1 cuore di sedano, 100 g. di olive verdi, schiacciate, 2 cucchiai di capperi dissalati, sale, pepe e olio extravergine d’oliva.
Salsa in agrodolce: miscela di 1/2 bicchiere di aceto bianco e 2 cucchiai di zucchero (assaggiando, correggere l’equilibrio dei due elementi, secondo il proprio gusto).
Tagliare a tocchetti grandi le melanzane, farle spurgare in acqua e sale per ½ h,  lavarle più volte e strizzarle bene,quindi friggerle in padella con olio extravergine  d’oliva e farli asciugare sulla carta da cucina.
Bollire il cuore del sedano, tagliato a pezzetti.

Preparazione
In un tegame abbastanza grande, far soffriggere la cipolla e cuocervi il pomodoro per circa 10 minuti circa quindi aggiungere, le melanzane  fritte precedentemente, le olive, i capperi e il sedano fritto ( io lo preferisco sbollentato, perché è meno pesante), lasciare insaporire per qualche minuto e irrorare il tutto con la salsa in agrodolce. Spegnere il fuoco e far raffreddare la caponata in modo che i componenti si possano amalgamare.


 L’origine del termine “caponata”
Sembra che abbia avuto origine dalla parola “capone”, il nome con cui viene chiamata la lampuga, in alcune zone della Sicilia, pesce pregiato che una volta veniva servito alle tavole dell’aristocrazia con la salsa agrodolce, tipica della caponata; altri affermano che il nome ci sia stato tramandato dai soliti “monsù” che usavano la salsa per conservare per poco tempo la cacciagione, fra cui il cappone, ingrediente che definiva quelle preparazioni capponate.

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