Ricordo la grande cucina dove
la nonna preparava i pasti quotidiani, davanti ai fornelli in muratura,
alimentati dalla legna che il nonno provvedeva a portare dalla campagna; ma
ricordo soprattutto i profumi delle pietanze, dopo la cottura, che venivano consumati,
molto spesso, come piatto unico perché contenevano tanti ingredienti, da
saziarti. Il gattò o grattò come lo chiamano, i palermitani, tramandato da
madre in figlia, era uno di questi:
Piatto unico, nutriente e succulento, tanto da non potersi fermare ad
una sola fetta, una squisitezza che la nonna, ogni venerdì, preparava,
soprattutto, per noi nipoti. Era una ricetta antica quella della nonna, un
piatto di recupero,con i piselli, il formaggio e i rimasugli di salumi, cucinati in padella
dalla quale si sprigionava, per tutta la casa, un profumo che bastava a far
venire l’acquolina in bocca; ma, accadeva di cuocerlo in forno, in una teglia
di alluminio, dopo aver sfornato il pane casereccio della settimana. Tutti noi
nipoti aspettavano il venerdì, ma io più
degli altri perché ero l’assistente della nonna, poverina, costretta dalle mie
insistenze, nella preparazione, e poi tutti ad aspettare, la sera, il nonno
tornava dalla campagna tardi, momento in cui, attorno al tavolo di marmo,
gustavamo quella squisitezza: Tante porzioni grandi e piccole, da poter fare il
bis e il rimanente il giorno dopo, ancora più buono.
E lo stesso appuntamento lo
avevamo anche per la festa di santa Lucia e anche quando si andava in campagna:
Seguendo il solito rito, u gattò veniva preparato al mattino presto, in modo da
consentire a tutti gli ingredienti di “riposare”, di amalgamarsi, diceva la
nonna, e poterlo gustare a temperatura ambiente, in un sapore unico. In
campagna, si aspettava l’ora del pranzo andando a zonzo e di cose da vedere ce
n’erano tante ma non mancavamo di fare una visitina alla “casetta sprofondata”
di cui il nonno ci ricordava la storia: La terra presa dal fiume, la
costruzione della casa, in prossimità della riva e lo straripamento: “O sciumi
a livammu e u sciumi s’arripigghiò “( al
fiume l’abbiamo tolto la terra e il fiume se l’è ripresa), così aveva
commentato il suo papà, alla vista della casetta, inghiottita dalle acque. E, poi, andavamo all'acqua rossa, il colore era dovuto al rame contenuto nella roccia, a riempire le bottiglie da portare a tavola e
spesso, sapendo che avremmo trovato anche u gattò, preparato dalla zia Nunzia,
scommettevamo a chi avrebbe riconosciuto quello della nonna. Ma scommettevamo,
per finta, perché era facile riconoscerlo, la scelta delle patate vecchie, le
più dolci e, come sosteneva sempre, con meno amido e gli ingredienti, quelli
della cucina povera, insomma “u gattò ri famigghia”, mentre quello preparato
dalla zia era arricchito da uno strato di ragù. Quando ci siamo trasferiti nel
palermitano, mia madre ha fatto propria la ricetta locale, ricca di tanti
ingredienti e molto saporita ma carente del più importante degli ingredienti: L’amore e la
dolcezza che la nonna trasferiva no '' gattò ri carusi”.
Che ricordi e che
spensieratezza! Per fortuna io continuo a mangiare in modo semplice e naturale
come in casa dei nonni e a Claudio, il contadino di fiducia, ormai
diventati amici, parlo spesso del mondo della mia infanzia e, ogni tanto, con
orgoglio, gli offro un “assaggino” di genuinità siciliana.
Qualche notizia in più
Di origine contadina, il gattò
di patate, storpiatura del termine francese gateau, sformato di patate, era
diffuso fin dal medioevo: Era un piatto alla portata di tutti, genuino ma anche
economico e veloce.
Ricetta antica, che ci porta
d’oltralpe, dai francesi di cui l’aristocrazia siciliana amava imitarne gli
atteggiamenti e le abitudini ma soprattutto la cucina. Gli ingredienti a buon mercato e la facilità della preparazione,
permise il passaggio nelle tavole povere come piatto unico, contenente ingredienti vari e calorici che saziavano molto.
Il gatò di patate,
originariamente, cucinato in padella, ha diverse versioni che caratterizzano non solo le
abitudini alimentari e sociali come le scampagnate ma anche le tradizioni
religiose di molte città siciliane e Palermo ne è un esempio: In questa città,
per la festa di Santa Lucia, tradizione vuole che gli abitanti si astengano,
per l’intera giornata, dal consumare farinacei, preferendo riso, verdura e
l’apprezzato gatò di patate.
Gatò di patate:
Vi presento una versione al forno ma molto semplice
Ingredienti
1 kg di patate bollite e pelate ( preferibilmente vecchie, hanno meno amido), 2 uova, 50 g. di parmigiano, olio
extravergine, pangrattato, sale e pepe, 2 fette di mortadella, fette di caciocavallo.
Preparazione
Al passato di patate, ottenuto con il passaverdura, aggiungete due uova , 50 g. di parmigiano, sale e
pepe, creando un impasto.
Su una teglia oliata, su cui è stato sparso del pangrattato, disponete la
metà dell’impasto ottenuto su cui sistemerete le fette di mortadella e di caciocavallo,
quindi chiudete con il restante impasto la cui superficie verrà spennellata di l'olio e spolverata di pangrattato. Cuocere al forno a 180 per circa 40 m. finché la superficie non sarà dorata.
A cottura avvenuta, lasciare
riposare per permettere al "gattò" di amalgamarsi, evitando che si sbricioli, nel tagliarlo.
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