lunedì 25 aprile 2016

"U gattò ri carusi"





Ricordo la grande cucina dove la nonna preparava i pasti quotidiani, davanti ai fornelli in muratura, alimentati dalla legna che il nonno provvedeva a portare dalla campagna; ma ricordo soprattutto i profumi delle pietanze, dopo la cottura, che venivano consumati, molto spesso, come piatto unico perché contenevano tanti ingredienti, da saziarti. Il gattò o grattò come lo chiamano, i palermitani, tramandato da madre in figlia, era uno di questi:  Piatto unico, nutriente e succulento, tanto da non potersi fermare ad una sola fetta, una squisitezza che la nonna, ogni venerdì, preparava, soprattutto, per noi nipoti. Era una ricetta antica quella della nonna, un piatto di recupero,con i piselli, il formaggio e  i rimasugli di salumi, cucinati in padella dalla quale si sprigionava, per tutta la casa, un profumo che bastava a far venire l’acquolina in bocca; ma, accadeva di cuocerlo in forno, in una teglia di alluminio, dopo aver sfornato il pane casereccio della settimana. Tutti noi nipoti  aspettavano il venerdì, ma io più degli altri perché ero l’assistente della nonna, poverina, costretta dalle mie insistenze, nella preparazione, e poi tutti ad aspettare, la sera, il nonno tornava dalla campagna tardi, momento in cui, attorno al tavolo di marmo, gustavamo quella squisitezza: Tante porzioni grandi e piccole, da poter fare il bis e il rimanente il giorno dopo, ancora più buono.
E lo stesso appuntamento lo avevamo anche per la festa di santa Lucia e anche quando si andava in campagna: Seguendo il solito rito, u gattò veniva preparato al mattino presto, in modo da consentire a tutti gli ingredienti di “riposare”, di amalgamarsi, diceva la nonna, e poterlo gustare a temperatura ambiente, in un sapore unico. In campagna, si aspettava l’ora del pranzo andando a zonzo e di cose da vedere ce n’erano tante ma non mancavamo di fare una visitina alla “casetta sprofondata” di cui il nonno ci ricordava la storia: La terra presa dal fiume, la costruzione della casa, in prossimità della riva e lo straripamento: “O sciumi a livammu e u sciumi s’arripigghiò “(  al fiume l’abbiamo tolto la terra e il fiume se l’è ripresa), così aveva commentato il suo papà, alla vista della casetta, inghiottita dalle acque. E, poi, andavamo all'acqua rossa, il colore era dovuto al rame contenuto nella roccia, a riempire le bottiglie da portare a tavola e spesso, sapendo che avremmo trovato anche u gattò, preparato dalla zia Nunzia, scommettevamo a chi avrebbe riconosciuto quello della nonna. Ma scommettevamo, per finta, perché era facile riconoscerlo, la scelta delle patate vecchie, le più dolci e, come sosteneva sempre, con meno amido e gli ingredienti, quelli della cucina povera, insomma “u gattò ri famigghia”, mentre quello preparato dalla zia era arricchito da uno strato di ragù. Quando ci siamo trasferiti nel palermitano, mia madre ha fatto propria la ricetta locale, ricca di tanti ingredienti e molto saporita ma carente del più importante degli ingredienti: L’amore e la dolcezza che la nonna trasferiva no '' gattò ri carusi”. 
Che ricordi e che spensieratezza! Per fortuna io continuo a mangiare in modo semplice e naturale come in casa dei nonni e a Claudio, il contadino di fiducia, ormai diventati amici, parlo spesso del mondo della mia infanzia e, ogni tanto, con orgoglio, gli offro un “assaggino” di genuinità siciliana. 


 Qualche notizia in più
Di origine contadina, il gattò di patate, storpiatura del termine francese gateau, sformato di patate, era diffuso fin dal medioevo: Era un piatto alla portata di tutti, genuino ma anche economico e veloce.
Ricetta antica, che ci porta d’oltralpe, dai francesi di cui l’aristocrazia siciliana amava imitarne gli atteggiamenti e le abitudini ma soprattutto la cucina.  Gli ingredienti a buon mercato e la facilità  della preparazione, permise il passaggio nelle tavole povere come piatto unico, contenente ingredienti vari e calorici che saziavano molto.
Il gatò di patate, originariamente, cucinato in padella, ha diverse versioni che caratterizzano non solo le abitudini alimentari e sociali come le scampagnate ma anche le tradizioni religiose di molte città siciliane e Palermo ne è un esempio: In questa città, per la festa di Santa Lucia, tradizione vuole che gli abitanti si astengano, per l’intera giornata, dal consumare farinacei, preferendo riso, verdura e l’apprezzato gatò di patate.

Gatò di patate: Vi presento una versione al forno ma molto semplice
Gratin di patate 

Ingredienti
1 kg di patate bollite e pelate ( preferibilmente vecchie, hanno meno amido), 2 uova, 50 g. di parmigiano, olio extravergine, pangrattato, sale e pepe, 2 fette di mortadella, fette di caciocavallo.

Preparazione

Al passato di patate, ottenuto con il passaverdura, aggiungete due uova , 50 g. di parmigiano, sale e pepe, creando un impasto.
Su una teglia oliata, su cui è stato sparso del pangrattato, disponete la metà dell’impasto ottenuto su cui sistemerete le fette di mortadella e di caciocavallo, quindi  chiudete con il restante impasto la cui superficie verrà spennellata di l'olio e spolverata di pangrattato. Cuocere al forno a 180 per circa 40 m. finché la superficie non sarà dorata.
A cottura avvenuta, lasciare riposare per permettere al "gattò" di amalgamarsi, evitando che si sbricioli, nel tagliarlo.     

                                    

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