E scendevano dalla montagna,
i "ciaramiddari", ricordando che il Natale stava arrivando,
suonando le struggenti e caratteristiche note, per annunciare la nascita di
Gesù Bambino.
La piccola via si metteva in
festa: La facciata delle case si ornava di” frasche" d’arance, di immagini dei Santi e noi ragazzi ci affollavano dietro "i ciarameddari", che andavano a suonare davanti alle cappellette con la luminaria,
accanto agli usci.
Era una festa di affettuosa
aggregazione, di attesa per un evento in cui si riponeva la speranza di
abbondanza e prosperità e per questo alla novena si portava in offerta, il
meglio che si poteva trovare, in quella stagione.
Tutto cominciava dopo la
festa di Santa Barbara, che terminava l’11 dicembre; a casa era tutto un
fermento, per la composizione del presepe e
“a cunsata da nuvena”, la cui preparazione era compito del nonno che
aveva, già, portato dalla campagna l'occorrente, per preparare la
struttura e anche gli agrumi, per abbellirla.
Dopo aver preparato il telaio di canne, piegate ad arco, rivestito da un telo bianco e coperto al’esterno da foglie di alloro e, nella parte anteriore, da rami di biancospino e asparago selvatico, il nonno mi disse: “Adesso puoi collaborare, porgimi le arance, i limoni e i mandarini che disporrò, a coppie, sui rami di biancospino, tanti quanti sono i giorni in cui si celebra “a nuvena” mentre all’interno, sotto un cielo stellato, appendiamo, i biscotti, la mostarda, le caramelle, i fichi d'india, mele cotogne, nespole d’inverno e melagrani, tutti prodotti che la nonna, io lo sapevo perché l’avevo seguita in quello strano posto che mi incuriosiva sempre, aveva preparato sul tavolo”.
Dopo aver preparato il telaio di canne, piegate ad arco, rivestito da un telo bianco e coperto al’esterno da foglie di alloro e, nella parte anteriore, da rami di biancospino e asparago selvatico, il nonno mi disse: “Adesso puoi collaborare, porgimi le arance, i limoni e i mandarini che disporrò, a coppie, sui rami di biancospino, tanti quanti sono i giorni in cui si celebra “a nuvena” mentre all’interno, sotto un cielo stellato, appendiamo, i biscotti, la mostarda, le caramelle, i fichi d'india, mele cotogne, nespole d’inverno e melagrani, tutti prodotti che la nonna, io lo sapevo perché l’avevo seguita in quello strano posto che mi incuriosiva sempre, aveva preparato sul tavolo”.
Che bello, era proprio bello! E lo fu ancora di più quando, su una base di vischio il mio nonnino collocò la Madonna col Bambino,
invitandomi ad inginocchiarmi e, dopo aver fatto il segno della croce, a
ripetere la preghiera, mentre, per tutta la casa, si spandeva, dal braciere, “a conca”, l’odore della buccia di arance e
mandarini, che bruciavano nella carbonella.
E quando arriveranno i
ciaramiddari, chiesi? Tra qualche giorno, rispose il nonno, arrivano da
Maletto, con il loro abbigliamento montanaro, scendendo a dorso di muli, per
animare le celebrazioni religiose.
E cosi era stato! Davanti
all’altarino, dove si ripetevano gli antichi canti, c’eravamo tutti, i nonni, i
familiari, i vicini, grandi e piccoli, tutti in piedi attorno al presepe e “u
ciaramiddaro” di fronte; dopo che la nonna ebbe acceso le nove candeline,
numero dei giorni della novena, ascoltammo, in religioso silenzio, le
invocazioni e i canti di Natale e, alla fine, intonammo “Tu scendi dalle
stelle”. Tutto durava, al massimo, cinque minuti e via al presepe successivo,
erano tre le famiglie, e noi bambini facevano corona, ressa al nostro suonatore
che riceveva, ogni volta, il solito bicchiere di vino, tanto che, dopo i primi
giorni, il forte odore di ovile si mescolava ad un vago sentore alcolico; il 24 dicembre era l’ ultimo giorno di musica
e preghiere “pu ciaramiddaru” che, finalmente, poteva tornare a casa, dopo
essere stato pagato.
E noi bambini che tutte le sere vivevamo una grande festa, aspettavamo, anche, con grande impazienza, il giorno della “scunsata da nuvena”, per poter gustare finalmente, i dolcetti e la frutta che erano stati appesi per abbellirla; ma tutto era nelle mani del nonno che nel disfare “a nuvena”, cioè eseguire il rito propiziatorio, che riteneva una cosa molto importante, non voleva intrusi, purtroppo, considerando il risultato vitale, per la famiglia perché le spine del biancospino, che erano state a contatto con il sacro, dovevano essere bruciate e se il fumo fosse andato verso destra, il responso sarebbe stato positivo, promettendo che l’annata del raccolto sarebbe stata ricca e copiosa, se a sinistra, sarebbe stata disastrosa e io sapevo che solo se il risultato fosse stato il primo, avrei potuto trascorrere una bella serata con il mio nonnino e pregavo che tutto andasse bene. Per fortuna quasi sempre il responso era positivo e quando questo non avveniva, io gli stavo vicino e lo consolavo.
E noi bambini che tutte le sere vivevamo una grande festa, aspettavamo, anche, con grande impazienza, il giorno della “scunsata da nuvena”, per poter gustare finalmente, i dolcetti e la frutta che erano stati appesi per abbellirla; ma tutto era nelle mani del nonno che nel disfare “a nuvena”, cioè eseguire il rito propiziatorio, che riteneva una cosa molto importante, non voleva intrusi, purtroppo, considerando il risultato vitale, per la famiglia perché le spine del biancospino, che erano state a contatto con il sacro, dovevano essere bruciate e se il fumo fosse andato verso destra, il responso sarebbe stato positivo, promettendo che l’annata del raccolto sarebbe stata ricca e copiosa, se a sinistra, sarebbe stata disastrosa e io sapevo che solo se il risultato fosse stato il primo, avrei potuto trascorrere una bella serata con il mio nonnino e pregavo che tutto andasse bene. Per fortuna quasi sempre il responso era positivo e quando questo non avveniva, io gli stavo vicino e lo consolavo.
Quanta emozione! Ancora oggi,
i lontani ricordi d’infanzia mi riportano alla memoria riti, volti e
affettività, ormai lontani, ma che rimangono sempre il mio scrigno di emozioni.