lunedì 19 settembre 2016

"Favi a cunigghiu chi giri" e v'arricriati!

Giornata uggiosa, quasi autunnale, decido di preparare dei legumi e come ne “La recherche …….” prustiana, la mia memoria involontaria mi riporta a quella lontana sera di novembre e allo strano piatto che nonno Nino, con cui cenavo tutte le sere da quando era mancata la nonna, m’invitava a gustare, “i favi a cunigghiu chi giri”, un piatto di legumi e verdura.
 Vedendo, sulla tavola, un  piattino, accanto alla minestra, chiesi al nonno a cosa servisse e la spiegazione fu chiara, raccogliere le bucce delle fave, cioè lo scarto rimasto, spiegandomi: Il commensale porta il legume alla bocca con il pollice e l’indice e, con gli incisivi,  provoca una fessura da dove, sempre con l’aiuto delle due dita, fa uscire il contenuto dalla buccia che viene, poi, lasciata nel piattino e la pietanza prende nome di “Favi a cunigghiu” dalla somiglianza con lo strano e curioso modo usato dai conigli, di incidere con i denti i semi, per mangiarne il contenuto. Trascorsi la serata con nonno Nino che cercava di insegnarmi come usare le dita e gli incisivi, ma inutilmente; quando tornai dalla mamma, raccontai l’esperienza e la difficoltà di mangiare le fave, come voleva l nonno e lei, sorridendo, mi spiegò che quei legumi erano state cucinati, alla vecchia maniera, intere e quindi, per fare uscire il contenuto del legume, usavano gli incisivi per creare un’apertura; ma da tempo, continuò la mamma, le fave si cuociono togliendo la parte superiore nera del legume, prima della cottura, creando un’apertura naturale che permetta, spingendo con il pollice e l’indice, la fuoriuscita del contenuto, senza difficoltà e mi raccontò anche un’altra versione dell’origine del nome della pietanza, che risaliva al dopoguerra: Molte madri, disse, per non far conoscere le difficoltà della famiglia e far credere al vicinato di cucinare carne, nell’avvisare la figlia, che giocava in cortile con gli amichetti, che il pranzo o la cena era pronta, gridava “trasi ca i favi e cunigghiu su pronti” ma la bimba a tavola trovava fave secche in zuppa. Rilevante è che questo piatto povero, di antica tradizione siciliana, tramandato quasi identico al ,piatto originale, come il mangiare le fave con le mani, ha un gusto genuino e straordinariamente gustoso e l’abbinamento delle fave con bietole crea un brodetto denso e saporito e per questo ve lo consiglio.


Fave a cunigghiu chi giri ( fave a coniglio con bietole)

 Ingredienti
250 g di fave secche con buccia ( le migliori sono le fave di Leonforte) a bagno in acqua x 12 ore;
( si consiglia di metterle in ammollo al mattino); 2 mazzi di bietole; 1 aglio in camicia; acqua; sale; olio q.b.

Preparazione
Mettere le fave a bagno, per 12 ore circa, quindi scolarle e dopo aver tolto, con un coltello, la capocchietta nera ( l’occhio della fava) sciacquateli e versateli in una pentola con abbondante acqua salata, con foglie d’alloro e lo spicchio d’aglio mettete sul fuoco. 
Quando fa il primo bollore, abbassare la fiamma e lasciare cuocere a fuoco moderato, con coperchio semichiuso, per circa 1h ma bisogna controllare spesso la cottura, assaggiando le fave e mescolando, ogni tanto, con il cucchiaio di legno. A questo punto, tolto l’aglio, aggiungere la bietola, precedentemente lavata e scolata. Da quando riprenderà il bollore, far cuocere ancora 15 m, quindi versare in una terrina e condire con olio extravergine d’oliva e come dicono i siciliani “arricriativi”!


- Arricriarsi: E’ un verbo che, nel pronunciarlo, i siciliani si “riempiono la bocca” perché descrive non solo il piacere di ciò che hanno mangiato, ma uno stato d’animo.

Nessun commento:

Posta un commento