Era il primo Natale, nel paesino che ci ospitava, ed ero
euforica, curiosa e nello stesso tempo malinconica: Finalmente avremmo festeggiato
con i parenti, che avevamo appena conosciuto, avrei potuto vivere una bella
serata con il vecchio Marx e mi sarei arricchita di nuove tradizioni, gustando
piatti locali, ma sapevo che avrei sentito la mancanza di nonno Nino e del
quartiere dove avevo vissuto sette anni, il piccolo mondo, il paesino in miniatura,
come definivo quel gruppo di case dove il Natale era anticipato dal fermento
collettivo: Le famiglie, il piccolo forno e i lavoratori di marmo, il piacevole
miscuglio di voci di donne indaffarate a preparare le loro specialità, piatti
tipici come crespelle e dolci ripieni, il viavai e le risate e i giochi di noi
bambini. Era uno spettacolo a cielo aperto, perché tutto avveniva nella strada,
il salotto di casa, punto d’incontro della piccola comunità dove, nei giorni
che precedevano il Natale, si assisteva all’andiriviene di donne, di teglie da
infornare e alla preparazione dei cibi genuini e gustosi, ai tanti dolci, i
cui ingredienti li regalava la natura: Fichi, mandorle, nocciole, pistacchi,
arance, miele con i quali si preparavano
le famose “paste della luna”, per la
loro forma a mezzaluna, accompagnate da vermuth o marsala e i “bocconcini di
arancia mandorlata,” ricetta di famiglia. E il Natale, nella nuova casa ,
finalmente, arrivò, riunendo tutta la nuova famiglia con figli e nipoti,
facendomi provare emozioni nuove, diverse, soprattutto più intime: A scuola, la
maestra ci aveva preparato alla ricorrenza, addobbando l’aula, preparando
poesie e canti di Natale e facendoci scrivere pensieri sulla festività, il
paese mostrava i segni attraverso gli addobbi nelle strade, le vetrine delle pasticcerie che erano ricche di leccornie e le "putie" ( i negozietti di frutta e verdura) che presentavano i cesti di
frutta fresca, mescolata ai dolci di martorana e noi che abitavamo fuori
dal paese, in uno spazio aperto, le uniche presenze erano i lavoratori
del mercato generale, al mattino, e quelli della lavorazione della pietra, vivevamo la
festività nella nostra casa, preparando il presepe e
addobbando l’albero di Natale con i mandarini e i biscotti, a forma di stelline
e di animali, che avevamo preparato il giorno prima con la mamma. E poiché ogni
festa si celebrava a tavola, mia madre, seguendo le tradizioni di famiglia, da
giorni si occupava della preparazione degli antipasti, dei primi tipici del suo
paese come le scacciate, i cardi a “pastetta” e dei dolci e le specialità locali che,
gentilmente, le aveva insegnato la vicina, preoccupata, però, per il giudizio
del vecchio Marx, ospite d’onore della festività natalizia, mentre mio padre era impegnato all'acquisto
del pesce fresco, che avrebbe arricchito la tavola della vigilia, insieme
all'uovo e al cuore di tonno, fatti arrivati da Favignana, e della ricerca di
primizie, al mercato locale.
E a casa era tutto un fermento, soprattutto per noi figli
che per la prima volta, festeggiavamo la vigilia con il mio papà, con il vecchio
Marx, la nonna era mancata molti mesi prima, e anche con gli zii e i cugini
palermitani, che sarebbero arrivati dopo cena. Non scorderò mai quella serata:
Il patriarca, seduto a capo tavola, riprendendo il ruolo di pater familias, mio
padre alla sua sinistra, felice di aver ritrovato finalmente la sua famiglia “tutta”,
mia madre alla destra e noi ragazzi a far da corona all'ospite d’onore. La cena,
con i suoi sapori antichi e marinari, era il regalo che mio padre aveva voluto
fare al nonno che ritrovava la tradizione della sua isola, lasciata per forza
maggiore e dove per anni non era potuto
tornare ( aveva rifiutato la tessera del fascio); Era una cena, ricca anche di pietanze della cucina catanese e palermitana, molto graditi
dall'ospite che, per la prima volta, si era lasciato andare ad apprezzamenti sinceri per la padrona di casa, notando la cura con cui era stata apparecchiata
la tavola, apprezzando “la squisitezza” e “la prelibatezza dei cibi”, e soprattutto la scelta dei piatti. La cena, ricca di ogni ben di
Dio, si era conclusa con i dolci che, nella nostra famiglia , hanno sempre
avuto uno spazio da protagonisti, mia madre era maestra nella preparazione dei
bocconcini di arancia mandorlata dei quali il vecchio Marx fece il bis
parecchie volte, accompagnati dal bicchierino di marsala.
Quando finalmente sono arrivati gli zii e i cugini la festa era al culmine: Le risate accompagnavano le chiacchiere e le battute, gli zii gustavano i dolcetti della tradizione catanese e le crespelle all’acciuga e alla ricotta, accompagnandoli con i vini o liquore e poi finalmente tutti a giocare a carte, con i litigi furiosi di noi ragazzi, se perdevamo. “A tummuliata” ( la tombola) era un gioco tradizionale, non si trattava della versione moderna, munita di cartellette, bensì di quelle con le carte siciliane e mentre seguivamo l’uscita dei numeri, mangiavamo la frutta secca, lo “scaccio”, così si dice a Palermo, come noci, mandorle e nocciole, aspettando la mezzanotte per andare in chiesa e assistere alla funzione religiosa. La festa continuò il giorno di Natale: Il nonno, ancora con noi, e noi tutti attorno alla tavola per celebrare la festività con gli anelletti al forno, che è il piatto tipico della festa, seguito dal brociolone di carne di vitello con contorno di patate e verdure e tante insalata tra le quali l’insalata di arance e aringa che piaceva molto a mia madre e che, regolarmente, tentava di farla “digerire” anche ai noi ragazzi. Il pranzo si concluse ancora con i dolci, le cassatelle, i cannoli, a cubaita e i buccellati, il dolce per antonomasia del Natale e dei palermitani e la frutta, soprattutto” Fichidindia e nespuli d’invernu”. Come tradizione voleva, nel pomeriggio, mia madre ci accompagnò a Palermo, a visitare i presepi della chiesa dei “Tre re”, della basilica di S. Francesco d?Assisi, della chiesa della Confraternita della Madonna della Mercede e in particolare il presepe di pane, preparato dalla confraternita dei fornai, straordinario. E la festa continuò ancora il giorno di santo Stefano, ancora con i parenti, il pranzo, la cena e chiudendo la serata ancora giocando a carte e divertendoci. Sono stati giorni intensi, emozionanti, anche se stancanti, perché non ero abituata a rimanere sveglia fino a notte alta, ma a quel primo Natale palermitano, ne seguiranno tanti altri meravigliosi, purtroppo pochi, otto anni dopo muore il vecchio Marx, all’età di novantasei anni, e qualche anno dopo mio padre, giovanissimo, a soli quarantanove anni. La vita l’ho vissuta nel suo ricordo e nella scia dei valori che mi aveva inculcato e che mi hanno aiutato a costruire il mio presente, conservando quel mondo di semplicità e il gusto per la vita,di cui mio padre era stato esempio.
Quando finalmente sono arrivati gli zii e i cugini la festa era al culmine: Le risate accompagnavano le chiacchiere e le battute, gli zii gustavano i dolcetti della tradizione catanese e le crespelle all’acciuga e alla ricotta, accompagnandoli con i vini o liquore e poi finalmente tutti a giocare a carte, con i litigi furiosi di noi ragazzi, se perdevamo. “A tummuliata” ( la tombola) era un gioco tradizionale, non si trattava della versione moderna, munita di cartellette, bensì di quelle con le carte siciliane e mentre seguivamo l’uscita dei numeri, mangiavamo la frutta secca, lo “scaccio”, così si dice a Palermo, come noci, mandorle e nocciole, aspettando la mezzanotte per andare in chiesa e assistere alla funzione religiosa. La festa continuò il giorno di Natale: Il nonno, ancora con noi, e noi tutti attorno alla tavola per celebrare la festività con gli anelletti al forno, che è il piatto tipico della festa, seguito dal brociolone di carne di vitello con contorno di patate e verdure e tante insalata tra le quali l’insalata di arance e aringa che piaceva molto a mia madre e che, regolarmente, tentava di farla “digerire” anche ai noi ragazzi. Il pranzo si concluse ancora con i dolci, le cassatelle, i cannoli, a cubaita e i buccellati, il dolce per antonomasia del Natale e dei palermitani e la frutta, soprattutto” Fichidindia e nespuli d’invernu”. Come tradizione voleva, nel pomeriggio, mia madre ci accompagnò a Palermo, a visitare i presepi della chiesa dei “Tre re”, della basilica di S. Francesco d?Assisi, della chiesa della Confraternita della Madonna della Mercede e in particolare il presepe di pane, preparato dalla confraternita dei fornai, straordinario. E la festa continuò ancora il giorno di santo Stefano, ancora con i parenti, il pranzo, la cena e chiudendo la serata ancora giocando a carte e divertendoci. Sono stati giorni intensi, emozionanti, anche se stancanti, perché non ero abituata a rimanere sveglia fino a notte alta, ma a quel primo Natale palermitano, ne seguiranno tanti altri meravigliosi, purtroppo pochi, otto anni dopo muore il vecchio Marx, all’età di novantasei anni, e qualche anno dopo mio padre, giovanissimo, a soli quarantanove anni. La vita l’ho vissuta nel suo ricordo e nella scia dei valori che mi aveva inculcato e che mi hanno aiutato a costruire il mio presente, conservando quel mondo di semplicità e il gusto per la vita,di cui mio padre era stato esempio.
Il dolce di Natale palermitano è il “buccellato”, dolce tipico della festività di questa bella terra e di cui vi presenterò le origini e le caratteristiche separatamente; vi proporrò, quindi, un dessert natalizio, semplice, genuino e profumato che mia madre preparava spesso e, per noi ragazzi, in versione golosa, un dessert che sa
di tradizione e di legame con le terre di Sicilia.
“Arance al rum” con
scaglie di cioccolato fondente
Ingredienti: 400 g. di arance ( vi consiglio i tarocchi
siciliani, dolci, succosi e rossi come la terra di Sicilia) pelate a vivo e
tagliate a fette, 30 g.
di uvetta ammorbidita nel rum per 15 minuti, per disidratarla e insaporirla, 4
pizzichi di cannella.
Presentazione
finale del piatto di “Arance al rum”
Disponete su un piatto da portata le fette di arance, già
tagliate a fette, spolveratele con la cannella; aggiungete l’uva passa, intrisa
di rum, completando con una cascata di scaglie di cioccolato fondente. E’ un dessert semplice ma ottimo, da
servire freddo. In famiglia, la ricetta dell’arancia all’uvetta al rum”, era
preparata anche con una colata di
salsina di cioccolato fondente di cui vi presento la ricetta:
: 250 g.
di latte fresco intero, 80 g.
di zucchero semolato, 35 g.
di cacao amaro in polvere, 75 g.
di cioccolato fondente al 70 %, 1 cucchiaio, raso, di maizena.
Preparazione
Portare ad ebollizione, in una pentola, tutti gli
ingredienti, tranne il cioccolato e la meizena; non appena, il composto avrà raggiunto l’ebollizione, unire la meizena, sciolta in un cucchiaio di acqua
fredda, cuocere per 1 minuto, mescolando, aggiungendo il cioccolato fondente e fare
sciogliere, quindi allontanare la salsa dal fuoco e farla raffreddare. E’
ottimo per decorare gelati e semifreddi e si conserva in frigo anche 15gg.
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