martedì 27 settembre 2016

Favignana: Le donne e l'incucciata

Nei mesi primaverili, mio padre amava tornare a Favignana ed io ero felice di accompagnarlo. Trascorrevamo il fine settimana, nell'isola, rivisitando i luoghi della sua infanzia, incontrando vecchi compagni di giochi e aspettando che la fedele Maria, da giovane lavorava per la famiglia, già avvisata, preparasse “ u cuscusu”, il piatto rappresentativo dell'isola con il pesce che mio padre aveva acquistato al molo. Ormai le nostre visite avevano qualcosa rituale, come rituale era la richiesta alla vecchia Maria, di farmi assistere alla preparazione "ru cuscusu", che esperienza!
Maria, quella tenera vecchietta, mi aspettava con gioia e sorridendo mi confermava che potevo assistere alla preparazione du “cuscusu”, come lo chiamano i favignanesi, ricordandomi che la preparazione di questo piatto aveva un alone di sacralità e che si tramandava da madre in figlia.
In quella grande cucina, riscoprivo un mondo di antiche tradizioni: Tante donne,  forse parenti e amiche , sedute attorno alla tavola dove era posta, la mafaradda  che conteneva la semola a grana grossa, il “lemmo” e una ciotola di acqua salata. Ero affascinata da quelle donne semplici e amabili e dalla naturalezza con cui lavoravano manualmente la semola: le loro dita bagnate, con  movimenti veloci e rotatorii formavano piccolissimi grumi e li  depositavano nel lemmo, dove continuavano il movimento con il palmo della mano, unto di olio, che permetteva di separare i grumetti tra loro; procedimento lungo, stancante ma particolarmente interessante!
Pensavo che dopo la cottura, ( la cuscusiera e la pentola erano state sigillate ca “cuddura”, pasta molle di acqua e farina), ci si potesse sedere a tavola, invitati anche dal  profumo che si spandeva intorno ma, come disse Maria, dovevo ancora pazientare perché "u cuscusu” doveva riposare per circa mezz'ora, con coperchio e con sopra un panno di lana e poi finalmente ammorbidito con il brodo della zuppa e arricchito con il suo pesce, che faceva da corona, poteva essere gustato. 
E finalmente, ho mangiato "u cuscusu", buono, ricco di sapore e anche molto scenografico; anche se l’attesa è stata lunga, ne è valsa la pena!
Riflettendo, sarà questo il motivo per il quale, oggi, le donne privilegiano il couscous precotto?


Cenni storici

Chiamato cuscus, kuskus ( tritato in minutissimi pezzi), è  cuscusu in provincia di Trapani, è uno dei tanti casi in cui le varie dominazioni in Sicilia hanno influenzato la cucina siciliana.
La tradizione culinaria di questi chicchi ha viaggiato dall’Africa fino a raggiungere le coste della Sicilia per poi diffondersi in tutto il continenti. Lo sviluppo di un simile piatto, però, non può spiegarsi semplicemente con l’espansione militare dell’Islam.
Esso, infatti attecchisce tra tutte le popolazioni perché è un piatto base, povero che può diventare importante se arricchito con carne e verdure o col pesce, diventando parte di ogni tradizionale cucina locale; ovviamente nella cucina egadina, il couscous è di pesce.
La leggenda  tramanda che furono i pescatori del trapanese ad importare il couscous dalle coste della Tunisia e dargli le caratteristiche tipiche locali:“I pescatori trovandosi, per parecchi mesi, nelle acque di Sfax, in Tunisia, per pescare le spugne, familiarizzarono con le popolazioni arabe fino ad assorbire le abitudine e soprattutto la gastronomia. E’ fu così che scoprirono quel piatto povero, il couscous che i tunisini, allora popolo di pastori, nomadi, condivano con le verdure e la carne di montone; i pescatori, ritornati a casa, insegnarono alle loro donne quel piatto economico ma saporito, sostituendo il montone con ciò di cui erano più ricchi, il pesce.

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