Ma io volevo conoscerne il gusto e quindi, con trepidazione, aspettavo la famosa pausa dal gioco che permetteva di assaggiare qualche dolcetto, accompagnato da un bicchiere di liquore; e il momento arrivò, mia madre portò a tavola, su un piatto da portata, il famoso "cucciddatu” e dopo che lo zio Guido lo ebbe tagliato in piccoli tocchi, mi fiondai a prenderne uno, rimproverata aspramente da mia madre che non capiva perché fossi stata così scortese, non aveva capito che volevo conoscerne il sapore che, dopo il primo morso, mi fu familiare: Osservai il ripieno, riconobbi molti degli ingredienti, forse ce n’era qualcuno in più , ma anche il gusto simile alle lune che mia madre e la mia nonna materna ci preparavano a Natale. A differenza du "cucciddatu", quello paternese era un dolce povero e spoglio, creato dalle suore del Monastero della SS Annunziata di questo paese, e specchio di quel luogo semplice e umile, espressione di religiosità. Ero sul punto di chiedere spiegazioni a mia madre, quando intervenne lo zio Guido che, mi stava osservando divertito e, prima che potessi porre la domanda, mi spiegò che “ u buccellato” era un dolce della tradizione, diffuso in tutta l’isola e consumato nel periodo natalizio e avendo colto i miei dubbi, mi spiegò che il dolce poteva essere simile a quello di altre zone, spesso con forma e nome diversi e lo stesso valeva per il ripieno, che mantenendo l’ ingrediente principale, i fichi secchi, variava a seconda della zona in cui veniva preparato. Lo zio, affettuoso e gentile e cultore della storia e delle tradizioni della sua città, si sedette accanto a me e cominciò a raccontare del dolce palermitano per eccellenza e delle sue origini.
Esordì con queste parole: “Avrai notato in estate, i fichi
asciugati al sole e infilati in lunghi fili di spago o”incannati”, cioè
infilzati in spiedini di canne, ecco parte di questi serviranno in inverno per
preparare i buccellati, questi dolci di natale che hanno origine lontana.
Anticamente, infatti, a Palermo, durante la novena natalizia, le donne anziane
della famiglia, per rallegrare le serate, preparavano diversi piatti tra cui il
buccellato a forma di ciambella, una sorta di augurio e di potere magico, la
cui farcitura, al suo interno, e la cottura al forno permettevano una lunga
conservazione e la possibilità di essere consumato nell’intero periodo festivo
ed essere anche utilizzato come centro tavola, prima di essere consumato come
dessert. Per la preparazione dell’impasto, le donne utilizzavano strumenti
semplici come una tavola in legno
levigata, che sostenuta da due sedie
diventava il piano di lavoro “ u scannaturi” , più basso rispetto ad un normale
tavolo per permettere loro di impastare con più forza e un ferretto, preparato dal fabbro, chiamato “stigghia pù
cucciddatu” che ad una delle estremità aveva una ruota dentata che serviva a
disegnare una specie di merlettatura e punzecchiare la pasta frolla affinché si
vedesse la farcitura. Non volevo crederci, ero rapita dal racconto! E lo zio,
che aveva colto il mio interesse continuò dicendo che fatto in casa o in
pasticceria, “u cucciddatu” non poteva essere presentato privo dei
“diavulicchi”, codine di zucchero multicolore che richiamavano la forma della
coda dei diavoli e che, simbolicamente avevano il compito di custodire il
ripieno di questo dolce, uno dei più preziosi della cucina siciliana: Come
gli elementi decorativi, una serie di
figure mitologiche, rappresentate in un affresco presente nel palazzo della
Zisa, a Palermo, nella volta dell’arco d’ingresso alla sala della fontana
l’IWAN, avevano il compito di custodire gelosamente il grandissimo tesoro in
monete d’oro, nascosto nel palazzo,, così “i diavulicchi” del buccellato custodivano il ripieno di uno
dei dolci più prezioso della cucina siciliana. Incredibile! Sarei rimasta ad
ascoltarlo per ore, ma il tempo era trascorso in un baleno quindi, dopo aver
ringraziato lo zio e i parenti tutti, andai, soddisfatta, a dormire. Era stata
una splendida serata! Ma da quel giorno, mia madre , che amava arricchire i
dolci con orpelli di pasta frolla e giochi di colori, scelse di preparare per
le feste natalizie anche “ u cucciddatu”, di cui vi presento la ricetta.
“U cucciddatu” (
buccellato)
Ingredienti della Pasta frolla: 300g. di Farina, 125 g.di burro, 50 g. di zucchero, 1 cucchiaio
di marsala, 5g di ammoniaca, latte qb.
Preparazione: Impastare, in una terrina, la farina,
lo zucchero, il burro, l’ammoniaca e un cucchiaio di marsala e impastare,
aggiungendo del latte al bisogno. Quindi formare una palla, avvolgerla in una
pellicola da cucina e riporla in frigo, almeno per 30 minuti.
Ingredienti del
Ripieno: 300 g.
di fichi secchi ( quelli di Cosenza sono
il massimo non hanno semi, comunque scelta solo italiana), 30 g. di pinoli e 50 g. di mandorle, 50 g di noci, 50 g di nocciole tostate e
tritate grossolanamente, 30 g.
di uva sultanina, due cucchiai di miele d’arancio.
Preparazione
Mettete i fichi in ammollo, in acqua tiepida, per qualche ora, quindi tagliateli a pezzetti
e versateli in una pentola con le mandorle, noci e, nocciole tostati e tritati
grossolanamente, i pinoli e due cucchiai
di miele d’arancio e fate cuocere per circa dieci minuti. Quando il composto
sarà pronto, spegnete il gas, aggiungete la scorza d’arancia grattugiata,
mescolate e fate riposare per qualche ora ( mia madre preparava il ripieno la
sera prima e lo faceva amalgamare sul balcone al freddo, “o sirenu”, come dice
lei, fino al mattino perché, sosteneva, i gusti si sarebbero amalgamati in modo
naturale e naturalmente anch’io faccio lo stesso).
Preparazione finale
Su un piano infarinato, stendete una
sfoglia rettangolare di circa 1
cm, con il mattarello e ponetevi sopra il composto, distribuendolo in orizzontale quindi
arrotolatevi la pasta intorno, tagliando l’eccesso, unendo saldamente le estremità, per dare la
classica forma a ciambella. Con un coltellino ben affilato, intagliate la
superficie della pasta ancora cruda in modo da fare vedere il ripieno e aggiungete il decoro, a vostro piacere. Cuocete
in forno, preriscaldato a 180 ° per circa 30 m., quindi tirate fuori il dolce, spennellate con un
po’ di miele caldo, per rendere il buccellato lucido e trattenere la frutta
candita che arricchirà la superficie, insieme ad altre decorazoni.
Qualche notizia
sull’etimologia e l’origine
Il buccellato ha un sicuro antenato nel panificatus dei
romani. La forma risale infatti al pane romano, dal termine latino tardo
medievale “ buccellatum” ovvero il pane da sbocconcellare cioè da trasformare
in bocconi. La “buccella” era il pane a ciambella che gli imperatori romani spartivano alla popolazione, durante
le feste o gli incontri tra gladiatori e l’addetto alla distribuzione si
chiamava, appunto, buccellarium, da qui la storpiatura.
Si pensa, invece, che il ripieno di frutta secca si debba ad una vivace
comunità di Lucchesi che vivevano in un quartiere della Loggia di Palermo, dove
cominciarono a diffondere il buccellatum ripieno di frutta. La dominazione
araba, nel frattempo, aveva introdotto cedri, zucche, mandorle e fichi secchi e
così il ripieno man mano si era
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