venerdì 9 settembre 2016

U cuccidatu: Il dolce regale palermitano



 Vigilia di Natale: Stavamo preparando il tavolo per giocare a carte a e alla tombola, quando arrivarono gli zii palermitani, carichi di regali e, per noi fratelli, la festa continuava nella gioia e nella curiosità di conoscere meglio i nuovi parenti ma, soprattutto, per me, di scoprire cosa contenessero i pacchetti regalo; un libro per Agnese, i maglioncini per Antonio e Gaetano e un giocattolo per me e mentre i miei fratelli ringraziavano, io ero alle prese con il dolce che aveva portato lo zio Guido che, nel porgerlo a mia madre, ne decantava la squisitezza, ricordando che “u cucciddatu”, così lo chiamò, era stato preparato dal suo pasticciere di fiducia, una vera delizia, disse. Fui affascinata da quel dolce, a forma di corona, impreziosita da ciliegie candite che sembrano grossi rubini , caramelline luccicanti come perle e zucchero colorato a forma di codini, "i diavulicchi",che arricchiscono la superficie merlettata.
Ma io volevo conoscerne il gusto e quindi, con trepidazione, aspettavo la famosa pausa dal gioco che permetteva di assaggiare qualche dolcetto, accompagnato da un bicchiere di liquore; e il momento arrivò, mia madre portò a tavola, su un piatto da portata, il famoso "cucciddatu” e dopo che lo zio Guido lo ebbe tagliato in piccoli tocchi, mi fiondai a prenderne uno, rimproverata aspramente da mia madre che non capiva perché fossi stata così scortese, non aveva capito che volevo conoscerne il sapore che, dopo il primo morso, mi fu familiare: Osservai il ripieno, riconobbi molti degli ingredienti, forse ce n’era qualcuno in più , ma anche il gusto simile alle lune che mia madre e la mia nonna materna ci preparavano a Natale. A differenza du "cucciddatu", quello paternese era un  dolce povero e spoglio, creato dalle suore del Monastero della SS Annunziata di questo paese, e specchio di quel luogo semplice e umile, espressione di religiosità. Ero sul punto di chiedere spiegazioni a mia madre, quando intervenne lo zio Guido che, mi stava osservando divertito e, prima che potessi porre la domanda, mi spiegò che “ u buccellato” era un dolce della tradizione, diffuso in tutta l’isola e consumato nel periodo natalizio e avendo colto i miei dubbi, mi spiegò che il dolce poteva essere simile a quello di altre zone, spesso con forma e nome  diversi e lo stesso valeva per il ripieno, che mantenendo l’ ingrediente principale, i fichi secchi, variava a seconda della zona in cui veniva preparato. Lo zio, affettuoso e gentile e cultore della storia e delle tradizioni della sua città, si sedette accanto a me e cominciò a raccontare del dolce palermitano per eccellenza e delle sue origini.
Esordì con queste parole: “Avrai notato in estate, i fichi asciugati al sole e infilati in lunghi fili di spago o”incannati”, cioè infilzati in spiedini di canne, ecco parte di questi serviranno in inverno per preparare i buccellati, questi dolci di natale che hanno origine lontana. Anticamente, infatti, a Palermo, durante la novena natalizia, le donne anziane della famiglia, per rallegrare le serate, preparavano diversi piatti tra cui il buccellato a forma di ciambella, una sorta di augurio e di potere magico, la cui farcitura, al suo interno, e la cottura al forno permettevano una lunga conservazione e la possibilità di essere consumato nell’intero periodo festivo ed essere anche utilizzato come centro tavola, prima di essere consumato come dessert. Per la preparazione dell’impasto, le donne utilizzavano strumenti semplici come una tavola in legno levigata, che sostenuta da due sedie diventava il piano di lavoro “ u scannaturi” , più basso rispetto ad un normale tavolo per permettere loro di impastare con più forza e un ferretto, preparato dal fabbro, chiamato “stigghia pù cucciddatu” che ad una delle estremità aveva una ruota dentata che serviva a disegnare una specie di merlettatura e punzecchiare la pasta frolla affinché si vedesse la farcitura. Non volevo crederci, ero rapita dal racconto! E lo zio, che aveva colto il mio interesse continuò dicendo che fatto in casa o in pasticceria, “u cucciddatu” non poteva essere presentato privo dei “diavulicchi”, codine di zucchero multicolore che richiamavano la forma della coda dei diavoli e che, simbolicamente avevano il compito di custodire il ripieno di questo dolce, uno dei più preziosi della cucina siciliana: Come gli  elementi decorativi, una serie di figure mitologiche, rappresentate in un affresco presente nel palazzo della Zisa, a Palermo, nella volta dell’arco d’ingresso alla sala della fontana l’IWAN, avevano il compito di custodire gelosamente il grandissimo tesoro in monete d’oro, nascosto nel palazzo,, così “i diavulicchi”  del buccellato custodivano il ripieno di uno dei dolci più prezioso della cucina siciliana. Incredibile! Sarei rimasta ad ascoltarlo per ore, ma il tempo era trascorso in un baleno quindi, dopo aver ringraziato lo zio e i parenti tutti, andai, soddisfatta, a dormire. Era stata una splendida serata! Ma da quel giorno, mia madre , che amava arricchire i dolci con orpelli di pasta frolla e giochi di colori, scelse di preparare per le feste natalizie anche “ u cucciddatu”, di cui vi presento la ricetta.


“U cucciddatu” ( buccellato)

Ingredienti della Pasta frolla: 300g. di Farina, 125 g.di burro, 50 g. di zucchero, 1 cucchiaio di marsala, 5g di ammoniaca, latte qb.

Preparazione: Impastare, in una terrina, la farina, lo zucchero, il burro, l’ammoniaca e un cucchiaio di marsala e impastare, aggiungendo del latte al bisogno. Quindi formare una palla, avvolgerla in una pellicola da cucina e riporla in frigo, almeno per 30 minuti.

Ingredienti del Ripieno: 300 g. di fichi secchi (  quelli di Cosenza sono il massimo non hanno semi, comunque scelta solo italiana), 30 g. di pinoli e 50 g. di mandorle, 50 g di noci, 50 g di nocciole tostate e tritate grossolanamente, 30 g. di uva sultanina, due cucchiai di miele d’arancio.

Preparazione
Mettete i fichi in ammollo, in acqua tiepida,  per qualche ora, quindi tagliateli a pezzetti e versateli  in una pentola  con le mandorle, noci e, nocciole tostati e tritati grossolanamente, i pinoli e  due cucchiai di miele d’arancio e fate cuocere per circa dieci minuti. Quando il composto sarà pronto, spegnete il gas, aggiungete la scorza d’arancia grattugiata, mescolate e fate riposare per qualche ora ( mia madre preparava il ripieno la sera prima e lo faceva amalgamare sul balcone al freddo, “o sirenu”, come dice lei, fino al mattino perché, sosteneva, i gusti si sarebbero amalgamati in modo naturale e naturalmente anch’io faccio lo stesso).

Preparazione finale
Su un piano infarinato, stendete una sfoglia rettangolare di circa 1 cm, con il mattarello e ponetevi sopra il composto, distribuendolo in orizzontale quindi arrotolatevi la pasta intorno, tagliando l’eccesso, unendo saldamente le estremità, per dare la classica forma a ciambella. Con un coltellino ben affilato, intagliate la superficie della pasta ancora cruda in modo da fare vedere il ripieno e aggiungete il decoro, a vostro piacere. Cuocete in forno, preriscaldato a 180 ° per circa 30 m., quindi tirate fuori il dolce, spennellate con un po’ di miele caldo, per rendere il buccellato lucido e trattenere la frutta candita che arricchirà la superficie, insieme ad altre decorazoni.

Qualche notizia sull’etimologia e l’origine
Il buccellato ha un sicuro antenato nel panificatus dei romani. La forma risale infatti al pane romano, dal termine latino tardo medievale “ buccellatum” ovvero il pane da sbocconcellare cioè da trasformare in bocconi. La “buccella” era il pane a ciambella che gli imperatori  romani spartivano alla popolazione, durante le feste o gli incontri tra gladiatori e l’addetto alla distribuzione si chiamava, appunto, buccellarium, da qui la storpiatura.
Si pensa, invece, che il ripieno di frutta secca si debba ad una vivace comunità di Lucchesi che vivevano in un quartiere della Loggia di Palermo, dove cominciarono a diffondere il buccellatum ripieno di frutta. La dominazione araba, nel frattempo, aveva introdotto cedri, zucche, mandorle e fichi secchi e così il ripieno man mano si era

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