giovedì 27 ottobre 2016

Il giorno dei morti? In Sicilia era una festa!


Ma io ricordo, bene, come la vivevo, prima a Paternò e poi nel Palermitano, la vigilia della festa dei morti, cu “U scantu e a curiusità”! ( con lo spavento e la curiosità).
E l’ambivalenza dei siciliani con il mondo dei morti! Da un lato le anime dei trapassati vengono scacciate attraverso riti e preghiere, dall’altro invece proprio le anime dei defunti vengono invocate, per chiedere protezione e aiuto; ed era ciò che capitava a me perché ero contenta di ricevere i regali,  con l’emozione di chi sperava di trovare ciò che aveva scritto nella sua letterina, ma anche spaventata se, svegliandomi di notte, mi fossi trovato accanto al letto, la nonna o altri parenti defunti.. E queste paure aumentavano quando, per farmi andare a letto, la mamma e gli zii, mi raccontavano sui defunti che si svegliavano, si rifornivano di dolci, giocattoli, regali, sottratti ai negozianti per portarli in regalo ai piccoli della famiglia, ma solo, se lo avessero meritato”, aggiungendo che i morti capivano se un bambino dormiva veramente o faceva finta, “ T’arattunu i peri e si si svigghiu ti mettunu a cira ‘nta l’occhi” ( ti grattano i piedi e, sei sveglia, ti mettono la cera negli occhi), ripetevano e  la mia reazione era sempre la stessa, nascondere la grattugia e sperare.
E quanto era bello il mattino dopo! Dopo essermi svegliata, con il cuore che mi batteva forte, forte, mi alzavo alla ricerca frenetica dei regali, nascosti negli angoli più impensati della casa, dopo aver recitato la supplica: “Armi santi, armi santi/ iu sugnu unu e vuatri / siti tanti:/ Mentri sugnu ntra stu munnu di guai/ così di morti mettiti minni assai”. E poi trovavo”u canistru”, il cesto colmo di frutta fresca, l’ossa ri morti (*) e “a pupa di zucchero”, dolce antropomorfa di chiara origine romana, e qualche volta le scarpe nuove che, oltre ad essere utili, erano anche un augurio per il nuovo anno. E, finalmente, noi bambini ci ritrovavamo per strada con i nostri giochi e dolcetti e, cantando la canzoncina della ricorrenza, entravamo nelle case dei vicini che ci regalavano il dolcetto, l’ossa di morto e altri piccoli regalini. Quanto ci divertivamo!

Ecco la tiritera:

Talè chi mi misiru i morti,       (Guarda cosa mi hanno portato i morti)
‘u pupu cu l’anchi torti,           (statuetta composta di un impasto di zucchero, con le gambe storte)
‘a atta ch’abballava,                 (la gatta che ballava)
‘u surci chi sunava.                  (il topo che suonava)
Passa la zita cu ‘a vesta di sita, ( passa la fidanzata con la veste di seta)
Passa ‘u Baruni  cu i cavusi a pinnuluni ( passa il barone con i pantaloni a penzoloni)
  
E’ evidente che vivevamo la ricorrenza dei morti con gioia e serenità, come la vivevano gli adulti, felici che i nostri defunti tornavano a trovarci e sarebbero tornati l’anno dopo. E si faceva gran festa: Le scuole erano chiuse per due giorni, si trovavano bancarelle ovunque, stracolme di giocattoli e grandi luminarie.
E in Sicilia non c’è festa che non venga contrassegnata da un cibo dedicato alla ricorrenza! La colazione del giorno dei morti é “la muffoletta”, (pagnotta morbida più grande di quella utilizzata per il pane e panelle) calda, condita con olio di oliva, acciughe e caciocavallo a scaglie; ed era anche la colazione del nonno che, poi, accompagnava noi tutti al cimitero, per salutare i nostri morti. Si saliva nella collina storica, dove il panorama la faceva da padrona e si lasciava un fiore sulle tombe dei parenti, dopo avere recitato una preghiera e, a pranzo, mia madre preparava pietanze che la nonna defunta gustava con piacere e mentre si mangiava si pronunciava la frase di rito:”Saziate l’armuzza santa di me matri o di me nanna o di me mogghieri, a seconda del rapporto di parentela.
Oggi è solo un dolce ricordo! Con Halloween, la festa, per i bimbi siciliani, è un fatto puramente commerciale, fatto di moda e spavento, e, purtroppo, tutta un'altra cosa!.


(*) Ossa dei morti:Macabri dolcetti a forma di tibia o femore o falange di pasta bianca che si sfarina sotto i denti, proprio come ossa vere su uno strato di pasta marrone dura, difficile da addentare, che rappresentava la bara.

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