Erano trascorsi alcuni giorni dalla partecipazione al fistino di santa Rosalia ma noi fratelli continuavamo a parlarne e a porci tante domande; fu la signora del pianoterra, a mantillina, che, gentilissima come sempre, appagò le nostre curiosità con dovizia di particolari e con ricchezza di aneddoti, aggiungendo che la commemorazione della Santuzza si sarebbe conclusa il 4 Settembre con la festività liturgica a Monte Pellegrino e con la famosa “acchianata”(salita) che i fedeli, tutti, affrontavano con una richiesta, un messaggio da affidare alla Santa, custodito nel silenzio della grotta. Ne parlammo a cena con mio padre che, con un sorriso di compiacimento, ci spiegò che questo appuntamento, per i palermitani, era come la Mecca per i musulmani, quindi almeno una volta si doveva fare: E’ la festa, disse, della fede e della tradizione, dei “voti” custoditi gelosamente e presentati con i dubbi e le speranze, ai piedi della Patrona; è un giorno di preghiera, di riflessione e devozione popolare.
A nulla erano valse le nostre rimostranze anche perché aveva l’appoggio incondizionato di mio padre, quindi noi fratelli fummo costretti ad
una
riunione lampo, durante la quale decidemmo di cercare ulteriori notizie.
E ancora la nostra esperta, a mantillina, ci spiegò che il percorso era lungo e
difficoltoso ma che la forza della fede e la motivazione per la quale si
compiva, avrebbe dato energia, spingendo il fedele verso la meta. Accidenti,
non se ne usciva! E mio padre, a cui avevamo esternato le nostre perplessità, ci aveva dato il colpo di grazia, confermando
la decisione, motivandola come momento bucolico, unico nel suo
genere: Il luogo è immerso in una vegetazione tipicamente mediterranea, disse,
con un fiore all’occhiello che è il Castello Utveggio e con una splendida visione
panoramica su tutta la città, dimenticando di comunicarci che la partenza sarebbe
avvenuta alle prime ore del mattino.E alle prime ore del mattino, mio padre ci accompagnò al luogo dell’incontro dove trovammo, con grande sorpresa, tante persone, fedeli di ogni età, di ogni quartiere e razze ( anche tamil) che si accingevano all’ascesa al santuario nella maniera più varia: Chi saliva a piedi, indossando un paio di sandali e stringendo un rosario, chi in bici, chi in preghiera o in silenzio, secondo la promessa fatta alla Santa. Il percorso era stancante, io sbuffavo e mi lamentavo, chiedendo spesso a mia madre notizie sul tempo di arrivo. Devo ad un signore, che faceva la salita con noi, la forza di arrivare in cima perché durante il tragitto mi rassicurava:
Stai tranquilla, mi diceva, arriveremo un po’ stanchi ma felice di poter rendere omaggio alla salvatrice della nostra città; è lontano il tempo in cui i devoti affrontavano il viaggio in ginocchio, che si auto flagellassero sotto il sole cocente di Luglio o con la temperatura più gradevole dei primi giorni di Settembre e ancora peggio che, giunti davanti alla chiesa, raggiungessero il simulacro leccando, con la lingua, il pavimento. Accidenti, che roba! Anche se un po’confusa, continuavo a salire piano piano, godendo di un ambiente naturale e piacevole, come ci aveva anticipato mio padre, tanti alberi, fichi d’india, tanti aghi di pini e anche tante bancarelle e punti di ristoro, disseminati lungo il percorso, pronti ad alleviare i pellegrini con ogni genere di conforto perché come, mi spiegò il mio vicino, per i palermitani il cibo è l’elemento primario di un momento sacrale: “Santo veni, festa fai” - arriva il festeggiamento del santo e fai festa-, rafforzato dal detto “Agnieddu e sucu e finiu u vattiu” , un modo per indicare che le feste religiose, come il battesimo, sono mirate in modo principale al banchetto che lo segue e quindi, dopo il pranzo, la festa è finita. Finalmente arrivammo al santuario, stanchi, affamati e assetati ma felici di visitare le spoglie di Santa Rosalia:
L’immagine di questa giovinetta mi aveva molto impressionato, come mi aveva meravigliato tutto l’oro che le faceva da corona e quello che le copriva il corpo e come mi aveva colpito la visione dei tanti ex voto, appesi nelle bacheche che raccontavano il dramma familiare di una popolazione. E finalmente era arrivato il momento del riposo e della sospirata colazione: La mia mamma aveva preparato per noi “A muffuletta ca cutuletta alla palermitana”che è molto buona. La carne impanata con gli aromi rende il piatto particolarmente stuzzicante. Dovete assaggiarlo, sentirete il gusto della sicilianità.
Cotoletta alla
palermitana
La caratteristica di questo piatto è che non richiedendo la
frittura, risulta molto leggero e digeribile e quindi adatto anche a chi segue
un regime alimentare controllato.
La cotoletta alla palermitana, è preparata con una
particolare panatura che dà un sapore più deciso e corposo e viene cotta al
forno. La ricetta è semplicissima e lascia libero arbitrio sulla quantità
di aromi che vorrete aggiungere; ricordate che i diversi sapori devono essere
equilibrati. L’invenzione della panatura nella tradizione viene spesso fatta
risalire alla corte di Federico II, quando si cercò un modo per recare con sé
la pietanza, in viaggio e nelle battute di caccia.
La muffuletta ( mou/molle, si pensa che il nome sia di
origine francese), è un pane tondo, morbido e profumato, genuino, cosparso di
“gigiulena,” croccante sesamo.
Ingredienti
500 g.
Fettine di vitello
Trito di 30 g capperi dissalati, prezzemolo, 50 g di olive nere snocciolate, 50 g. di parmigiano
grattugiato, 300 g.
pangrattato, sale e pepe
Olio extravergine
Preparazione
Panatura: mescolare il parmigiano grattugiato con il pangrattato
e con il trito di odori, salare e pepare
Le fettine, passate nell’olio extravergine, vengono
impanate, sistemate in una teglia e infornate per circa 10 minuti a 180 C, ricordando di
girarle a metà cottura.
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