E’ stata la mia prima
partecipazione ad una manifestazione notturna e soprattutto al “fistino”
palermitano. Mio padre ci aveva anticipato alcune notizie raccontandoci che la
festa cominciava al mattino del 14 Luglio,
con spari di mortaretti e con il suono delle campane delle tante chiese, e i rintocchi della campana senatoriale del palazzo Pretorio che
proclamavano l’apertura, con cerimonie pubbliche sia religiose sia civili.
Vedrete una città in fermento, disse, per la preparazione della manifestazione: Buona parte delle strade del centro sarà chiusa dalle diciotto della vigilia e fino alle tre di notte e lo stesso avverrà per i negozi e gli uffici, per preparare le attività del festino che iniziano alcuni giorni prima, con le gare di decorazioni e d’illuminazione tra i vari quartieri, con la preparazione al corteo e alla sfilata del carro, strumento fondamentale per la rappresentazione del trionfo religioso e umano, introdotto per la prima volta nel 1686, con una statua della Santa, sempre nuova di anno in anno. E così è stato! Il giorno che aspettavo, un appuntamento irrinunciabile, era arrivato e finalmente con mio padre si partiva alla scoperta di una nuova e gioiosa realtà. Non avrei mai immaginato quello spettacolo: Migliaia di palermitani devoti e tanti turisti curiosi e affascinati, come lo ero io, sfilavano per la grande arteria, dietro al Carro che, per tradizione, si fermava alla Cattedrale, (un maestoso edificio che si impone per la scenografica presenza delle sue linee architettoniche e la imponenza della splendida facciata, incorniciata da due campanili che racchiudono l’abside e che costituisce ciò che rimane della prima edificazione normanna dell’isola. Costruita dal 1184 su un preesistente edificio di culto musulmano, nel corso del tempo è stato sottoposto ad una serie di ristrutturazioni , modifiche e aggiunte) e ai quattro canti dove il sindaco, saliva sul carro, deponendo un mazzo di fiori ai piedi della statua della Santa, al grido di “Viva Palermo viva Santa Rosalia”. Ero affascinata, incuriosita ma anche spaventata da quel terremoto umano, ad un’ inspiegabile e grandissima partecipazione popolare che probabilmente, non ha uguali in nessuna altra parte d’Italia, tanto da costringermi a tenermi stretta alla mano del mio papà, per paura di perdermi mentre seguivamo la marea umana; mia madre, invece, insofferente, non amava la confusione, la calca e gli spintoni che, purtroppo, spesso accompagnavano i nostri movimenti, sperava di tornare a casa al più presto. Ai lati della strada facevano coreografia, con i loro colori e odori, le bancarelle con i tipici cibi da strada dove molti partecipanti alla processione, sostavano, mangiavano e riprendevano il cammino dietro il grande carro. Il caldo si faceva sentire e mio papà ci aveva invitato a prendere un gelato, prima di continuare la processione verso il foro italico dove avremmo trovato molti ambulanti che avevano allestito le loro bancarelle con i piatti tipici propri della festa che, per una sera, facevano da anello di congiunzione tra il popolino e la borghesia: Sulle tavole delle sfarzose terrazze e sui banchi dei marciapiedi del Cassaro, si trovavano “tavolate” di pietanze che fanno parte della tradizione popolare palermitana come i babbaluci ( lumache bollite e condite con aglio e prezzemolo), u sfinciuni, a calia e simenza ( ceci brustoliti e semi di zucca salati), a pullanca ( pannocchia bollita) e i miluni (angurie), alcuni dei piatti tipici. Era uno spettacolo di colori e di sapori che mi impediva di fare una scelta precisa, fu mio padre a consigliarmi “u sfinciuni”, simbolo della cultura del cibo di strada, e a chiedere, avvicinandosi al banchetto, cinque porzioni di questo squisito piatto. Mentre aspettavamo di essere serviti, assistemmo ad una scena esilarante, si era avvicinato un signore, con ancora in mano la porzione già acquistata e rivolgendosi allo sfinciaro disse: “ Talia no sfinciuni c'è na musca”, e l’altro rispose “ e chi vuleva u pullu” ( Guardi nello sfincione c'è una mosca e l’altro rispose, e cosa pretendeva il pollo!) Dopo le risate di rito, mio padre ci spiegò che l’umorismo era una delle caratteristiche del palermitano che lo utilizzava per sdrammatizzare qualsiasi problema, soprattutto se lo aveva creato lui, a meno che non si sentisse preso in giro e in quel caso, erano molte le probabilità che finisse “a schifio”, la frase di rito era sempre la stessa: “Chi mi stai pigghiannu pu .. .......! Verso la mezzanotte siamo tornati a casa, stanchi ma felici e sazi di una pietanza particolarmente buona come lo sfincione che è diventato un piatto frequente nella mia tavola. Ve lo consiglio perché, oltre ad essere molto buono, è pratico come break al lavoro o durante i picnic.
Vedrete una città in fermento, disse, per la preparazione della manifestazione: Buona parte delle strade del centro sarà chiusa dalle diciotto della vigilia e fino alle tre di notte e lo stesso avverrà per i negozi e gli uffici, per preparare le attività del festino che iniziano alcuni giorni prima, con le gare di decorazioni e d’illuminazione tra i vari quartieri, con la preparazione al corteo e alla sfilata del carro, strumento fondamentale per la rappresentazione del trionfo religioso e umano, introdotto per la prima volta nel 1686, con una statua della Santa, sempre nuova di anno in anno. E così è stato! Il giorno che aspettavo, un appuntamento irrinunciabile, era arrivato e finalmente con mio padre si partiva alla scoperta di una nuova e gioiosa realtà. Non avrei mai immaginato quello spettacolo: Migliaia di palermitani devoti e tanti turisti curiosi e affascinati, come lo ero io, sfilavano per la grande arteria, dietro al Carro che, per tradizione, si fermava alla Cattedrale, (un maestoso edificio che si impone per la scenografica presenza delle sue linee architettoniche e la imponenza della splendida facciata, incorniciata da due campanili che racchiudono l’abside e che costituisce ciò che rimane della prima edificazione normanna dell’isola. Costruita dal 1184 su un preesistente edificio di culto musulmano, nel corso del tempo è stato sottoposto ad una serie di ristrutturazioni , modifiche e aggiunte) e ai quattro canti dove il sindaco, saliva sul carro, deponendo un mazzo di fiori ai piedi della statua della Santa, al grido di “Viva Palermo viva Santa Rosalia”. Ero affascinata, incuriosita ma anche spaventata da quel terremoto umano, ad un’ inspiegabile e grandissima partecipazione popolare che probabilmente, non ha uguali in nessuna altra parte d’Italia, tanto da costringermi a tenermi stretta alla mano del mio papà, per paura di perdermi mentre seguivamo la marea umana; mia madre, invece, insofferente, non amava la confusione, la calca e gli spintoni che, purtroppo, spesso accompagnavano i nostri movimenti, sperava di tornare a casa al più presto. Ai lati della strada facevano coreografia, con i loro colori e odori, le bancarelle con i tipici cibi da strada dove molti partecipanti alla processione, sostavano, mangiavano e riprendevano il cammino dietro il grande carro. Il caldo si faceva sentire e mio papà ci aveva invitato a prendere un gelato, prima di continuare la processione verso il foro italico dove avremmo trovato molti ambulanti che avevano allestito le loro bancarelle con i piatti tipici propri della festa che, per una sera, facevano da anello di congiunzione tra il popolino e la borghesia: Sulle tavole delle sfarzose terrazze e sui banchi dei marciapiedi del Cassaro, si trovavano “tavolate” di pietanze che fanno parte della tradizione popolare palermitana come i babbaluci ( lumache bollite e condite con aglio e prezzemolo), u sfinciuni, a calia e simenza ( ceci brustoliti e semi di zucca salati), a pullanca ( pannocchia bollita) e i miluni (angurie), alcuni dei piatti tipici. Era uno spettacolo di colori e di sapori che mi impediva di fare una scelta precisa, fu mio padre a consigliarmi “u sfinciuni”, simbolo della cultura del cibo di strada, e a chiedere, avvicinandosi al banchetto, cinque porzioni di questo squisito piatto. Mentre aspettavamo di essere serviti, assistemmo ad una scena esilarante, si era avvicinato un signore, con ancora in mano la porzione già acquistata e rivolgendosi allo sfinciaro disse: “ Talia no sfinciuni c'è na musca”, e l’altro rispose “ e chi vuleva u pullu” ( Guardi nello sfincione c'è una mosca e l’altro rispose, e cosa pretendeva il pollo!) Dopo le risate di rito, mio padre ci spiegò che l’umorismo era una delle caratteristiche del palermitano che lo utilizzava per sdrammatizzare qualsiasi problema, soprattutto se lo aveva creato lui, a meno che non si sentisse preso in giro e in quel caso, erano molte le probabilità che finisse “a schifio”, la frase di rito era sempre la stessa: “Chi mi stai pigghiannu pu .. .......! Verso la mezzanotte siamo tornati a casa, stanchi ma felici e sazi di una pietanza particolarmente buona come lo sfincione che è diventato un piatto frequente nella mia tavola. Ve lo consiglio perché, oltre ad essere molto buono, è pratico come break al lavoro o durante i picnic.
Ingredienti
Pasta lievita: 250 g. di farina 00, 250
g. di farina 1, lievito 25 g., sale 12 g, un cucchiaio di olio
extravergine, 300 ml di acqua tiepida, un pizzico di zucchero.
Condimento: 5
cipolle bianche medie, salsa di pomodoro, 8 filetti di acciughe ( potete aggiungerne) 1 grossa fetta di
caciocavallo, tagliata a fette sottili, pepe, 4 cucchiai di olio extravergine
Salsa di pomodoro
fresco o di pelati sammarzano ( mettere in padella il pomodoro, aggiungere olio
sale e uno spicchio d’aglio da eliminare
alla cottura, e qualche foglia di basilico, fare cuocere per cinque minuti).
Pangrattato brustolino
in padella con un filo d’olio e un filetto di acciuga
Preparazione
Pasta lievita:
Mescolate le due farine, aggiungete il sale e mescolate; realizzate una
fossetta al centro e mettetevi il lievito, un pizzico di zucchero e due
cucchiai di acqua, sciogliere il lievito quindi mescolare con la farina e
aggiungere l’olio e piano pian l’acqua e mescolate fino ad ottenere un impasto
unico e morbido. E’ importante a questo punto , come diceva mia madre,
impastare per cinque minuti circa quindi mettetelo in una ciotola per circa 3
ore, deve raddoppiare di volume, coperto con un plaid per mantenerlo al caldo.
Condimento:
Versate le cipolle, tagliate a fettine, in un tegame aggiungete due dita di
acqua, 4 cucchiai di olio extravergine, sale e pepe e fate cuocere finché
l’acqua non si sarà asciugata. Spegnere dopo aver aggiunto due o tre cucchiai
di salsa.
Fase finale
Dopo aver lavorato ancora l’impasto, mettetelo nella teglia
e stendetelo con le mani su tutta la superficie, lasciando il bordo leggermente
più spesso. Ricoprite la superficie dello sfincione con pezzetti d’acciughe,
pressandoli leggermente con le dita, aggiungete le fette di caciocavallo già
preparate e infine coprite con le cipolle al sugo e spolverate di pangrattato
brustolino. Lasciate riposare lo sfincione per ancora trenta minuti, quindi,
dopo aver riscaldato il forno a 220
g., infornate per 20/30 minuti, fino alla cottura.
Ricordate che questa pietanza e molto buono anche il giorno
dopo, scaldato in forno, ne guadagna in gusto e leggerezza.
Qualche notizia
Quasi impossibile trovare “U sfinciuni” lontano da Palermo e
dintorno: Il nome si fa derivare dal latino spongia e dal greco spòngos, ossia
spugna, oppure dall’arabo sfang e basta guardare la pasta lievita e morbida,
per capire che non ci sarebbe mai stato termine più appropriato.
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