Mia madre mi ripeteva sempre, di fronte a scelte sbagliate: " U Signuri aiuta asini e picciriddi", non ho mai capito se mi considerasse un asino o ...............?
Ma io avevo una triplice protezione: Santa Barbara, patrona di Paternò, Sant'Agata, patrona di Catania e, giunti nel palermitano, Santa Rosalia.
Quanta curiosità ha accompagnato la mia esperienza palermitana e con quanta gioia mio padre, compagno di viaggio alla conoscenza di questa città, intrisa di storia e tradizioni, ci fece apprezzare le sue bellezze. Eravamo arrivati da pochi mesi e già ci trovavamo immersi nel famoso “ Fistino”, “A granni festa” di Santa Rosalia”, la patrona della città: Un mix di folclore e religione che trova il suo culmine nei tradizionali fuochi d’artificio che illuminano a giorno tutto il percorso, dalla Cattedrale al Foro Italico.
La festa esprimeva il forte legame fra Palermo e la sua Santuzza: La gratitudine e il ringraziamento dei palermitani verso la patrona è così grande, diceva, che la festeggiano due volte l’anno il 15 Luglio, chiamato “U fistinu”, celebrazione popolare, religiosa e folcloristica, che si ripete dal 1625, e il 4 Settembre, commemorazione che assume un carattere esclusivamente religioso. In segno di devozione, a settembre, i cittadini infatti si recano a piedi al santuario sul monte Pellegrino, per salutare la Patrona, nella sua grotta. Immediato è stato l'associazione, di noi tutti, alla festa di Santa Barbara, patrona di Paternò e di Sant’ Agata, patrona di Catania. Molte, infatti, le somiglianze: Era il 1625 e molte città siciliane, martoriate dalla peste, si affidavano alle loro sante protettrici come Santa Rosalia, Sant’Agata e, per me la più familiare, Santa Barbara, le cui storie sono dolorose, antichissime e ricche di significato e il cui denominatore comune è la fede, per la quale queste donne preferiscono la morte, all'abiura.
Ma io avevo una triplice protezione: Santa Barbara, patrona di Paternò, Sant'Agata, patrona di Catania e, giunti nel palermitano, Santa Rosalia.
Quanta curiosità ha accompagnato la mia esperienza palermitana e con quanta gioia mio padre, compagno di viaggio alla conoscenza di questa città, intrisa di storia e tradizioni, ci fece apprezzare le sue bellezze. Eravamo arrivati da pochi mesi e già ci trovavamo immersi nel famoso “ Fistino”, “A granni festa” di Santa Rosalia”, la patrona della città: Un mix di folclore e religione che trova il suo culmine nei tradizionali fuochi d’artificio che illuminano a giorno tutto il percorso, dalla Cattedrale al Foro Italico.
La festa esprimeva il forte legame fra Palermo e la sua Santuzza: La gratitudine e il ringraziamento dei palermitani verso la patrona è così grande, diceva, che la festeggiano due volte l’anno il 15 Luglio, chiamato “U fistinu”, celebrazione popolare, religiosa e folcloristica, che si ripete dal 1625, e il 4 Settembre, commemorazione che assume un carattere esclusivamente religioso. In segno di devozione, a settembre, i cittadini infatti si recano a piedi al santuario sul monte Pellegrino, per salutare la Patrona, nella sua grotta. Immediato è stato l'associazione, di noi tutti, alla festa di Santa Barbara, patrona di Paternò e di Sant’ Agata, patrona di Catania. Molte, infatti, le somiglianze: Era il 1625 e molte città siciliane, martoriate dalla peste, si affidavano alle loro sante protettrici come Santa Rosalia, Sant’Agata e, per me la più familiare, Santa Barbara, le cui storie sono dolorose, antichissime e ricche di significato e il cui denominatore comune è la fede, per la quale queste donne preferiscono la morte, all'abiura.
Le tre donne abbracciano la vita consacrata e pagano un
prezzo altissimo: Rosalia sarà inseguita e perseguitata tanto da essere
costretta a nascondersi in una grotta che diverrà luogo di pellegrinaggio dei
palermitani; ad Agata, per obbligarla ad
abiurare la sua fede, le vengono strappate le mammelle e infine Barbara, dopo
essere stata flagellata con le verghe, sarà decapitata con la spada, per mano
del padre.
La festa di Santa Barbara è prettamente religiosa e viene annunciata con spari di bombe e sfilate di bande musicali
per le vie del paese già il 3 novembre, cioè un mese prima della data ufficiale
della festa che i paternesi chiamano “ U misi i santa barbara”, seguita dalla festa
di Maggio, in occasione dell’eruzione dell’Etna e il 27 Luglio quando si rievoca
la traslazione delle reliquie
della Santa.
della Santa.
Le feste di Palermo e Catania hanno molto in comune:
Atmosfera carica di emozioni, persone che sciamano nelle vie e nelle piazze, devoti
e curiosi che raggiungono numeri altissimi;
a Catania sono giorni di culto,
devozione, folclore e tradizioni che si
ripetono da cinque secoli, paragonabile al Corpus Domini a Cuzco.
Sono tre giorni di solennità, durante le quali vengono realizzati per la ricorrenza, alcuni dolciumi che hanno un riferimento a Sant’Agata, come “i cassateddi di Sant'Aita o i minni ri virgini" che fanno riferimenti alle mammelle che furono strappate alla santa, durante i martirii e “le olivette”,che si riferiscono alla leggenda che ella, inseguita dagli uomini di Quinziano e giunta ormai nei pressi del palazzo Pretorio, si fosse fermata a riposare un istante e allacciarsi un calzare, improvvisamente è comparso un ulivo dove la giovane poté ripararsi e anche cibarsi dei suoi frutti.
Ancora oggi, per rinnovare il ricordo di quell’evento prodigioso, è consuetudine coltivare un albero di ulivo in un aiuola vicino ai luoghi del martirio e consumare, durante i giorni di festa, questi dolci tipici, realizzati con la pasta di mandorle.
Sono tre giorni di solennità, durante le quali vengono realizzati per la ricorrenza, alcuni dolciumi che hanno un riferimento a Sant’Agata, come “i cassateddi di Sant'Aita o i minni ri virgini" che fanno riferimenti alle mammelle che furono strappate alla santa, durante i martirii e “le olivette”,che si riferiscono alla leggenda che ella, inseguita dagli uomini di Quinziano e giunta ormai nei pressi del palazzo Pretorio, si fosse fermata a riposare un istante e allacciarsi un calzare, improvvisamente è comparso un ulivo dove la giovane poté ripararsi e anche cibarsi dei suoi frutti.
Ancora oggi, per rinnovare il ricordo di quell’evento prodigioso, è consuetudine coltivare un albero di ulivo in un aiuola vicino ai luoghi del martirio e consumare, durante i giorni di festa, questi dolci tipici, realizzati con la pasta di mandorle.
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