mercoledì 24 febbraio 2016

La cucina di famiglia? Creativa e passionale



La cucina di famiglia?
Eterogenea, frutto delle influenze di diverse culture che ha permesso, ai miei genitori, un’interpretazione creativa e passionale dei vari piatti: Le ricette a base di pesce, soprattutto favignanesi, le tipiche verdure mediterranee, le piante aromatiche e le spezie, di cui la terra di Sicilia è ricca che impreziosiscono con il loro profumo i piatti, conditi esclusivamente con olio extravergine d’oliva. della cucina dei nonni paternesi, proprietari terrieri, uniti alla tradizione palermitana..

E i dolci di famiglia?
Sono soprattutto della tradizione catanese con qualche particolare ricetta  palermitana, acquisita quando ci siamo trasferiti in quella zona,  con  ingredienti, in parte comuni: La mandorla, il pistacchio, il miele, gli agrumi.




E le origini degli ingredienti?
Bisogna ritornare alle dominatori in Sicilia: Le olive, la ricotta salata, l'agnello alla brace, ai greci, che hanno fondato Siracusa, Catania e Gela; Roma fu il primo grande laboratorio  della pasta con la quale sperimentava nuove ricette e forme, noto è  "a pasta rigagghiu", un condimento di uova sbattute,
prezzemolo e formaggio che ricorda, molto da vicino, la classica carbonara.
La famosa cassata e il sorbetto di limone, oggi chiamata granita, e quello al gelsomino (scorzonero) e ancora il cuscus e la  pasta con le sarde, si deve alla tradizione araba; mentre ai normanni dobbiamo la preparazione dello stoccafisso.
Ai francesi si fa derivare il falsumagru o “rollò” , un involtino di carne di vitello ripieno di prodotti poveri, mentre agli spagnoli, i numerosi ingredienti dell’ ultima cucina siciliana: Il pan di spagna, la cioccolata, il pomodoro e soprattutto la melanzana e, dalla tortilla, le numerosissime frittate, preparate di volta in volta con le fave, i piselli, i carciofi.






lunedì 22 febbraio 2016

Io? Sono lo specchio della mia Sicilia!



Erano stati giorni convulsi, si preparava il viaggio a Padova, per la festa goliardica di quella città. Insieme ai colleghi, mio fratello Gaetano aveva trascorso tante ore per le strade, facendo la questua, per acquistare i biglietti del treno e pagare il pernottamento. E finalmente la partenza e per tre giorni divertimento e goliardia pura, serate nei locali tipici, bevute e risate di gusto, sono stati giorni indimenticabili, dirà tornato a casa. Per giorni, ancora elettrizzato dall'esperienza, ci parlò del divertimento in ateneo, per le strade con i colleghi padovani ma ancora di più, delle belle ragazze che aveva incontrato e soprattutto di Luisa, una splendida bruna, occhi castani e folta chioma; noi lo  ascoltavamo divertiti, e incuriositi, conoscendo la sua faccia tosta e la capacità di attrarre l'attenzione con la sua dialettica e Agnese, che era appena arrivata da Torino, ironicamente, gli chiese se il corteggiamento avesse prodotto dei risultati e lui di rimando: Ho usato lo charme e le parole giuste". "Non sai cosa ti perdi, le dissi, io sono charmant come i francesi, raffinato come gli arabi e "caliente" come gli spagnoli. ……..
Sono lo specchio della mia Sicilia, poliedrica, piena di contraddizioni, ma carica di fascino, fantasia e passione. E avendo notato, in Agnese, scetticismo, aggiunse  allora crederai all'intellettuale  Karel Capek, ospite, molto tempo fa, nella nostra isola, che così si espresse, "L'influsso spagnolo è l'ultimo; il primo è greco, il secondo e il terzo sono il saraceno e il normanno....Mescolate questi vari elementi culturali con un sole abbacinante, una terra africana, una quantità di polvere e una vegetazione meravigliosa e avrete la Sicilia" ( "Da Palermo a Taormina", dai "Fogli italiani!)
E, subito, è caduta ai tuoi piedi, commentò Agnese!  No, ma ero sulla buona strada, rispose Gaetano: "Avevo molte frecce al mio arco, esaltando la mia isola e le sue bellezze. Ho ricordato i grandi viaggiatori del '700 e dell'800, che hanno amato la Sicilia e, alcuni dei quali credevano di riconoscere, nell'isola, origini mitologiche, come Samuel Butlerletterato inglese dell'età vittoriana, che lascerà alla città di Trapani, il suo manoscritto, convinto che Omero fosse nato a Trapani e che, addirittura, fosse donna e forse Nausicaa, figlia del re dei Feaci, conclusioni a cui era arrivato, cento anni prima, Johann Wolfgang Goethe che, guardando il mare di Palermo, notava che tutto gli richiamava alla mente, l'isola dei Feaci.
Il mio fratellino aveva continuato a lodare la nostra terra con la giovane: "E che dire, cara Luisa, delle splendide parole, espresse sulla Sicilia, da Guy de Maupassant, che, con emozionalità, ne decantò le ricchezze artistiche: "La Sicilia, scrisse, è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo….......Ma quel che ne fa una terra necessaria a vedersi e unica al mondo, è il fatto che, da un’estremità all'altra, essa si può definire uno strano e divino museo di architettura”
A quel punto, avevo capito di averla affascinata, disse Gaetano, con soddisfazione, perché, Luisa, sorridendo, mi rispose: Grazie per le belle giornate trascorse in allegria e socialità ma soprattutto per le notizie interessanti, sulla tua Sicilia che spero di visitare presto. E per dimostrarti la mia gratitudine, ti inviterò a cena, momento che mi permetterà di godere ancora dei racconti sulla tua terra, fatta di storia, arte e natura.
E la serata si concluse splendidamente, continuò Gaetano, appagando, piacevolmente, le curiosità della mia nuova amica Luisa che, salutandomi, saremmo ripartiti, purtroppo, l'indomani, aggiunse: Se sei lo specchio della tua terra, sono ancora più curiosa di visitarla e, naturalmente, con te che mi farai da cicerone.
E io risposi con le parole di Frances Elliot  ( "Milady in Sicilia)
“ Dal tempo di Proserpina, la Sicilia è stata la casa dei fiori. Si dice che le dee vergini, Proserpina, Minerva e Diana, tessero una tonaca di fiori variopinti per il padre Giove. Ora capisco perché gli Dei hanno tanto amato la Sicilia”!( da Milady in Sicilia)

Mio fratello Antonio, che, fino a quel momento, era stato in religioso silenzio, lo interruppe: Non sapevamo di avere un dotto, in famiglia, " ammogghia sta atta"!  (avvolgi questa gatta, espressione siciliana per indicare un'impresa difficile, un problema irrisolvibile). La sfida non fu raccolta, Gaetano continuò il suo racconto, con dovizia di particolari: "Ho detto a Luisa che, come gli antichi viaggiatori, anche lei, avrebbe, osservato la Sicilia da diversi punti di vista, da varie sfaccettature, ognuna carica di propria personalità, incontrando tante Sicilie, ognuna pronta a mettersi in antitesi con l’altra.
E che, nei siciliani, avrebbe ritrovato quella terra che trasmette sensazioni, prodotte dai colori, dai sapori, dalla fragranza e dai profumi e dai suoni, e dal gioco dei contrasti soprattutto quelli di un paesaggio che muta continuamente; e avrebbe provato quella "strana" e particolare sensazione, che scaturisce  dalla socialità, dalla fantasia e dalla passione che sono insiti nella natura dei suoi giovani. Sapete concluse, rivolto alla platea, presto verrà in Sicilia, me lo ha promesso.
E mia madre, si fece il segno della croce!

      


martedì 16 febbraio 2016

I vruocculi affucati, piatto evocativo

"I vruocculi affucati" è uno dei piatti paternesi che mio padre gustava volentieri: "E' un piatto particolarmente gustoso, diceva, gli ingredienti riescono a dare alla verdura un sapore nuovo".
Era stata mia madre a dare a questa pietanza una veste interessante, sostituendo i broccoletti, di gusto forte e prepotente, con il cavolfiore (u bastarduni) che si amalgamava bene con il vino, le scaglie di formaggio e gli altri ingredienti. Era una delle  tante pietanza che trovavamo a tavole, nelle feste importanti, e mia sorella ha continuato la tradizione; Al pranzo di Natale, tutti a tavola, le carni bianche e rosse erano accompagnate da questo antipasto, ritenendo che oltre che squisito, fosse anche evocativo: Mia madre, la nostra terra d'origine.
“I vruocculi affucati” sono perfetti in ogni occasione come ottimo contorno o buon secondo e anche condimento per la pasta.
E’ una portata ricca e appagante, grazie ad una serie di ingredienti che, sapientemente mischiati danno vita al particolare e inconfondibile sapore della ricetta tradizionale; l’utilizzo del vino rosso, corposo e vigoroso, dà più carattere a queste verdure, creando un piatto appetitoso.

Avrete capito che è una ricetta, tipica della Sicilia orientale e precisamente del catanese, presente nelle festività natalizie; ma come tutte le ricette siciliane, ne esistono varie versioni, come quella palermitana che preferisce il vino bianco al rosso.
 Eccovi la ricetta di famiglia Vruocculi (bastardi) affucati 
Ingredienti   Il cavolfiore o bastardu,  vino rosso, filetti di acciughe,  scaglie di parmigiano, cipolla, sale pepe e olio  extravergine d’oliva .

Preparare le cime dei cavolfiori tagliati a fette sottili, le scaglie di parmigiano, la cipolla tagliata a rondelle, i filetti di acciughe salate a pezzetti e il vino rosso (se di produzione siciliana, ancora meglio).
In una padella capiente e a bordo alto, mettere un giro di olio e disporre le fette di cavolfiore, ancora grondanti di acqua, su cui distribuire la cipolla, le scaglie di parmigiano, sale, pepe e un giro d’olio;  ripetere la sequenza fino alla fine degli ingredienti.
Cuocere per 5 minuti, a fuoco basso, per amalgamare i gusti, quindi irrorare con mezzo bicchiere di vino rosso, alzando la fiamma per qualche secondo, per fare evaporare quindi chiudere la padella con il coperchio, preferibilmente di diametro leggermente più piccolo rispetto alla stessa perché permetta al vino di continuare ad evaporare, cuocendo a fuoco basso. Quando il contenuto si asciuga, aggiungere piccole quantità di vino rosso da far evaporare, scuotendo di tanto in tanto la padella. Controllare, con la forchetta, la cottura della verdura che deve rimanere al dente.
A cottura finita, lasciare raffreddare e porre su piatto di portata. E’ ottimo anche il giorno dopo.  



domenica 14 febbraio 2016

A ghiotta e l'aiutante bambina




 
    A ghiotta, è una delle tante ricette che, spesso, il mio papà, nato e vissuto a Favignana, isola delle Egadi, strenuo difensore della tradizione e geloso del suo patrimonio culinario, soleva cucinare alla famiglia.
Ricordo, bene, il momento in cui, davanti ad un enorme piatto, con grande varietà di pesci, per preparare "a ghiotta", mio padre, con aria solenne mi disse:" Ti nomino aiutante dello chef, per la pulizia del pesce" e fattami salire su uno sgabello, che aveva posto vicino al lavandino, mi spiegava come squamarlo, eviscerarlo e prepararlo. Ero felice e orgogliosa e lo sono ancora adesso anche, se col tempo, ho capito che gli impegni di lavoro e la mancanza di collaborazione delle due donne di casa, mia madre e mia sorella, la smorfiosa, lo avevano costretto a servirsi di una bimba di nove anni, gioiosa e felice di poter essere utile al suo papà, che purtroppo l' ha lasciata troppo presto, non ancora cinquantenne, costringendola a sostituirlo nella preparazione di quei piatti che ci hanno permesso di rafforzare l'amore per il mare e per il suo mondo. Io cucino spesso il pesce e tutte le volte, mentre lo pulisco, mi ritrovo su quello "sgabello", accanto a mio padre; e quando a tavola, gusto la ghiotta, la paranza, o il tonno al sugo,  l'emozione mi fa brutti scherzi, mi sembra di sentire: Ben fatto, stai superando il maestro!
Ciao papà

A ghiotta è composto da varie qualità di pesci, originariamente di scarto o quello meno pregiato, e può essere servito come piatto unico, primo o secondo.

            A ghiotta egadina
                  
    Nel trapanese, la ghiotta di pesce è rossa: la ricetta, con il suo sapore di mare, insieme all’aglio, la cipolla, il prezzemolo tritato, sale e peperoncino, ha l’aggiunta della passata di pomodoro.

          Ingredienti
     Seppie, rana pescatrice, cicale, gamberi, palombo, gallinella, scorfano, cernia, vapo, cipolla, aglio,
peperoncino, pomodoro fresco olio extravegine e sale

         Preparazione

Pulite il pesce o compratelo già eviscerato: ricordate di lasciare i pesci interi, anche con le teste che danno particolare sapore al brodo ( a mio padre piaceva riconoscere, nel piatto, i pesci e pulirli da sé).

Oliare un tegame basso e largo dove fate imbiondire la cipolla e l’aglio tritati e un pizzico di peperoncino; aggiungete il pomodoro fresco e quando comincia a bollire, adagiate le seppie e la rana pescatrice e fateli cuocere per circa 15 minuti, a fuoco basso e a tegame coperto.
Quando il sugo comincia a restringersi, aggiungete il resto del pesce: prima le cicale, i gamberi e poi ancora il palombo, la gallinella, lo scorfano, la cernia, il vapo .
Cuocere per un quart’ora a fuoco medio e a tegame coperto, senza mai girare il pesce, ( non usare il mestolo, scuotere ogni tanto la casseruola ).
A cottura ultimata, spegnete il fuoco, lasciando riposare la zuppa perché assorba i vari gusti; quindi servite a tavola con crostini di pane  oppure bruschette calde. 

   Qualche notizia
E' una ricetta molto comune nelle zone costiere di molte regioni italiane e cambia il suo nome a seconda della fascia territoriale dove viene cucinata: Alla livornese con il "caciucco", alla genovese con il "Cipp," alla veneta alla marchigiana e alla veneta  con il "brodetto" e, alla siciliana, trapanese nello specifico, con "a ghiotta" di cui vi ho parlato.  



venerdì 12 febbraio 2016

E mia madre apprezzò l'uva di Corinto

 Fu mio padre che ci fece conoscere il vero nome di quella che, noi siciliani, chiamiamo uva passa, uno degli ingrediente della ricetta de "La pasta con le sarde.
E' l' uva di Corinto o Zante currantes, ci disse, chicchi piccoli e neri e a bacca rossa, un pò aciduli che danno al piatto un particolare sapore, e l'origine  è riferito alla omonima isola greca, in cui veniva coltivata originariamente.
 E presentando le peculiarità, mi aveva stupito che il grappolo venisse lasciato appassire sul tralcio ma ancor di più , l'interessamento di mia madre, appena saputo delle qualità della buccia: Essa, disse mio padre, contiene un elemento, a protezione delle cellule,  che ne rallentano l’invecchiamento e
l’elevata concentrazione di zucchero non solo  non favorisce la carie anzi, grazie agli antiossidanti che contiene. Rallentava l'invecchiamento? Mia madre,da civettuola qual era, fu impressionata da questa notizia e volle saperne di più, e mio  padre, resosi conto che poteva utilizzare questa opportunità, per dare dignità alla pasta con le sarde, sulla nostra tavola, ne enfatizzò le peculiarità, gratificato, molto tempo dopo, dal riconoscimento che mia madre diede al piatto che, col tempo divenne familiare e l'uva di Corinto divenne uno degli ingredienti di alcuni nostri primi piatti.
Grande fu la soddisfazione per il risultato ma anche molta fu la preoccupazione: Mio padre sperava che l'episodio non diventasse un cattivo esempio per noi figli,che ci eravamo divertiti alla scenetta; e così, un giorno , chiamatici a raccolta : "Ricordatevi di stare molto attenti, disse, a ciò che vi viene detto, non considerate oro colato, le parole che vi danno per veritieri, ascoltate e analizzate, prima di farle diventare vostre. Fate sì che le vostre azioni siano frutto di attenta riflessione.
E sembrerà strano, ma ancora oggi, quelle parole risuonano nella mia mente e.......

mercoledì 10 febbraio 2016

Dal mio album di foto


Perche' ho chiamato il blog “Arancia mandorlata”.

E' il dolce della tradizione di famiglia ( si tramanda da madre in figlia da sempre ) che mi fa tornare sempre alla mia infanzia.
E’ una delle tante ricette, ricette frutto dell’incontro delle culture dei luoghi d'origine dei miei genitori e della città in cui abbiamo vissuto per anni: Il mare di Favignana di mio padre, la terra dei ” tarocchi” del catanese di mia madre e i profumi, i suoni e i colori della città di Palermo a cui sono molto legata.



Buona lettura e buona preparazione di ricette particolarmente succulenti 

E arrivò "A pasta chi sardi"

La pasta con le sarde alla palermitana, alla catanese, con le sarde a mare, a milanisi; con lo zafferano, con il pomodoro, con o senza sarde. 
La ricetta, molto antica, tramandata da generazioni, ha molte variazioni, alcune particolarmente gustose, realizzate aggiungendo o eliminando alcuni ingredienti, a seconda dei gusti o delle ricette locali.

A casa dei nonni catanesi, non si era mai mangiato pesce, tanto meno la pasta con le sarde; fu mio padre a portare lo scompiglio perché voleva che i figli non solo mangiassero il pesce ma amassero il mare che, per lui era vita, sperando di coinvolgere, in seguito, anche mia madre.
In paese c'era solo una pescheria, con poca scelta , tendenzialmente, pesce povero e mio padre, regolarmente, lo ordinava.  I suoi primi piatti furono le fritture di calamari e gamberi, che saranno, da quel momento, i nostri preferiti, e il trancio di pesce spada ai ferri, irrorato da una salsina di olio, succo di limone e menta, aromi familiari in casa che sarebbero bastati, ripeteva mio padre, a stuzzicare il palato di tutta la famiglia. 
E arrivò il giorno della pasta con le sarde e mio padre, cogliendo la riottosità di mia madre, le spiegò che avrebbe seguito la ricetta catanese, sostituendo le sarde, che cotte rilasciavano un sapore forte e con odore di selvatico, con le alici, il cui sapore amabile e leggero avrebbe attutito, "purtroppo", diceva tra sé, l'odore del mare. E la ricetta palermitana! L' apprezzava molto perché, come diceva sempre, miscelava sapientemente tutti sapori: Un connubio idilliaco tra il finocchietto selvatico, dall'aroma e dal sapore dolce, le sarde, il sapore forte dell'acciuga salata, la dolcezza dei pinoli, l'acidulo dell'uva di Corinto e il gusto avvolgente dello zafferano. Mangiammo con gusto la pasta con le sarde "personalizzata", come la chiamava mio padre e quanto era buona e lo è ancora oggi, tutte le volte che la preparo!

Ed eccovi l'originale
Pasta con le sarde alla catanese
Ingredienti per 4 persone
400 g. di sarde ( mia madre continuava a preferire le alici, la carne della sarda  grassa, appena cotta, rilascia il suo grasso e un odore pungente, di selvatico);
200 g. di finocchietto selvatico; pomodoro, uva nera di Corinto, ammollata nell'acqua tiepida, pinoli, 1 cipolla, filetti  di  acciughe, muddica atturrata( pangrattato tostato), olio, sale e pepe.

Come pulire le sarde: squamate, togliete la testa e le interiora, la pinna dorsale, aprite a libro per togliere la lisca e la coda e dopo averle lavate sotto l’acqua corrente, asciugate con la carta da cucina;
friggetele per qualche minuto in olio bollente e mettele da parte.
Finocchietto di montagna: pulire bene dopo aver tolto i gambi più duri e cuocere, quindi scolare, tritare la verdura con il coltello o la mezzaluna (conservate l’acqua di cottura per cuocere gli spaghetti).  
Muddica atturrata (pangrattato tostato): mettere in padella del pangrattato con due acciughe salate e un filo d’olio; fate tostare la mollica, girandola continuamente, perché non si bruci, con la forchetta e con la stessa, sciogliete le acciughe. Quando la mollica ha preso colore spegnere.
Il sugo: In un pentolino capiente versare ½ bicchiere di olio vergine d’oliva, farvi appassire della cipolla tritata e aggiungere il pomodoro, sale e un cucchiaio d'acqua dei finocchietti e cuocere.

Preparazione
In una padella abbastanza larga,  con qualche cucchiaio d'olio, far prendere sapore al finocchietto, aggiungere le sarde fritte spezzettate e far cuocere per qualche minuto e quindi aggiungere la salsa, l'uva di Corinto e i pinoli strizzata e far amalgamare bene.

Intanto cuocete gli spaghetti, nell’acqua dei finocchietti, scolarli un minuto prima della cottura desiderata, e versarli nella padella a mantecare; servire a tavola, fornendo ai commensali una ciotolina colma di pangrattato tostato, chiamato dai nostri vecchi " il cacio dei poveri, da distribuire a piacimento sul piatto.


                                    



La storia
La paternità di questo piatto è attribuita al cuoco del generale arabo Eufemio che, sbarcato nella Sicilia conquistata, si trovò a sfamare le sue truppe utilizzando gli ingredienti a disposizione: pasta e sarde e con intuito, raccolse i famosi finocchietti selvatici che crescevano nelle vicinanze e li utilizzò per arricchire il piatto con il loro sapore e profumo, che eliminava l'odore sgradevole del pesce.
La fantasia gli suggerì anche l'aggiunta dello zafferano, dei pinoli e dell'uva nera di Corinto; questi elementi evidenziano la contaminazione della cucina siciliana con quella araba che ha portato, nelle nostre tavole, anche le spezie.
In origine, era un piatto stagionale e si poteva preparare solo da marzo a settembre, periodo in cui si trovavano al mercato le sarde fresche ed era possibile raccogliere, nei campi, il finocchietto selvatico di cui si utilizzano le parti più tenere e verdi, i germogli, i rametti più giovani e le tipiche foglie piumose( o barba); adesso il piatto viene cucinato tutto l'anno.
Esistono diverse varianti regionali di questo piatto: Nella zona palermitana è in bianco, senza aggiunta di pomodoro; quella,diffusa nell’agrigentino, prevede il concentrato di pomodoro.
Varianti anche per il tipo di pasta: spaghetti, bucatini o maccheroni. E alcune versioni prevedono anche il passaggio in forno, per terminare la cottura.