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" Perché i palermitani trasformano un momento spirituale, in puro divertimento? chiese mia sorella Agnese, provocatoriamente, a mio padre.
La festa dell’Immacolata, in tutte le città e i paesi siciliani si viveva con processioni religiose, fuochi d’artificio e cibi tipici della tradizione, e a Paternò, il paesino del catanese dove avevo vissuto , l’8 dicembre era anche il momento dei preparativi del Natale: Si decoravano i balconi con palloncini luminosi, si addobbavano gli alberi, si allestivano i presepi e si iniziava a preparare la struttura della “nuvena”: Un telaio di canne piegate ad arco, rivestito all'interno di un telaio bianco e coperto all'esterno di foglie d’alloro e nella parte anteriore di rami di biancospino, su cui venivano disposti, a coppie arance e mandarini mentre all’interno venivano appesi biscotti, mostarda, caramelle e torrone. Su una copertura di vischio, posta alla base, veniva collocato un quadro raffigurante la Madonna con il bambino o la Sacra Famiglia. La notte di Natale “a nuvena” accoglieva il Bambino Gesù.
Ci trovavamo da parecchi mesi nel paesino palermitano e papà, che si adoperava affinché partecipassimo alle tradizioni locali, ci spiegò tutto sulla festa l'’Immacolata Concezione: "E' la patrona della città di Palermo, unitamente a Santa Rosalia e San Benedetto e i preparativi per la festa iniziano qualche giorno prima, con l’addobbo dell’albero e la preparazione del presepe, mentre le strade si vestono a festa con luci multicolori. E il pomeriggio dell’8 dicembre si assiste alla grande processione del Simulacro argenteo della Madonna dalla chiesa di San Francesco d’Assisi fino al Duomo a cui assisteva molta gente, sia in strada che affacciata al balcone di casa esponendo, secondo un’antica tradizione, la tovaglia più bella o la coperta ricamata a mano”.
Ma i palermitani, continuò mio padre, non mancano di celebrare questa ricorrenza anche a tavola: Immancabile pietanza, caratteristica proprio di questo periodo, è “u sfinciuni”, nato per sostituire, durante le feste, il solito pane, arricchito con altri ingredienti e si mangiano “ i ricce cù sucu ri cutini”, lasagne (tagliatelle larghe) al sugo con carne di maiale e salsicce al seme di finocchio, per sancire, con questo cibo, l’arrivo dell’inverno; e ancora le verdure in pastella e il baccalà fritto, gustati insieme ai parenti ed amici per poi giocare a carte. Mia sorella Agnese, timidamente, fece notare a mio padre che, dal racconto, emergeva l’attenzione dei palermitani all’aspetto profano della festa: “Ti ricordi, papà, disse, come durante la processione di Santa Rosalia, molti partecipanti, “ con disinvoltura” , lasciavano la processione per fermarsi alle bancarelle, postate ai lati della strada, per mangiare “u sfinciuni” e le “crocchè” e, con la stessa “naturalezza”, riprendevano il cammino dietro il grande carro della Santa? E ti raccontammo che durante la famosa “acchianata” a Monte pellegrino le tante bancarelle e punti di ristoro erano stati “assaltati” dai pellegrini che, fu subito chiaro, aspettavano quel momento da quando erano partiti, trasformando un momento spirituale in un vero e proprio divertimento, in una scampagnata, da terminare con una bella mangiata, e lo verificammo ancora, continuò mia sorella, durante la festa di San Martino dove l’aspetto gastronomico la fece da padrona: Gli anelletti al forno, “u adduzzu agglassatu”( galletto) con le patate, i primi cavolfiori affogati, la prima ricotta e il pranzo si concludeva con le “sfinci” di San Martino, i biscotti “sammartinelli” e le “reginelle” o viscotti cà gigiulena. Le donne, infatti, trascorrevano le giornate in cucina a preparare pietanze della tradizione e proprio per questo, ci ricordò la vicina di casa, era buona creanza, che non si andasse in casa altrui il giorno 10 e soprattutto l’11 novembre perché tutte le donne erano alle prese con i manicaretti e una visita improvvisa, rallentava il lavoro ed equivaleva alla tacita richiesta d’invito. Mio padre, sorridendo sotto i baffi, li portava veramente, perché probabilmente gli era piaciuta l’analisi attenta, fornita da mia sorella, rispose: Le feste religiose hanno sempre due facce della medaglia, una sacra e l’altra profana e la cucina ha un ruolo importante. In occasione delle grandi feste, vengono preparati piatti di solito assenti dalle nostre tavole, durante il resto dell’anno e per i palermitani, il cibo è l’elemento primario di un momento sacrale, “Santo veni, festa fai” (arriva il festeggiamento del santo e fai festa), perché si sta insieme ma anche perché la preparazione di un certo cibo svolge un ruolo importante, addirittura simbolico, nel ricordare il significato che sta dietro al piatto come “i viscotti cà gigiulena”o reginelle (biscotti con i semi di sesamo), biscotti secchi di pasta frolla, buoni, friabili e fragranti, ottimi a colazione con il caffè o dopo il pasto con un vino liquoroso. E sono veramente speciali i “viscotti cà giagiulena”; io li preparo a casa da sempre e il loro odore e sapore sono inconfondibili ma quando li gusto a Palermo è tutta un’altra cosa. Spero vogliate provarci, sono deliziosi!
La festa dell’Immacolata, in tutte le città e i paesi siciliani si viveva con processioni religiose, fuochi d’artificio e cibi tipici della tradizione, e a Paternò, il paesino del catanese dove avevo vissuto , l’8 dicembre era anche il momento dei preparativi del Natale: Si decoravano i balconi con palloncini luminosi, si addobbavano gli alberi, si allestivano i presepi e si iniziava a preparare la struttura della “nuvena”: Un telaio di canne piegate ad arco, rivestito all'interno di un telaio bianco e coperto all'esterno di foglie d’alloro e nella parte anteriore di rami di biancospino, su cui venivano disposti, a coppie arance e mandarini mentre all’interno venivano appesi biscotti, mostarda, caramelle e torrone. Su una copertura di vischio, posta alla base, veniva collocato un quadro raffigurante la Madonna con il bambino o la Sacra Famiglia. La notte di Natale “a nuvena” accoglieva il Bambino Gesù.
Ci trovavamo da parecchi mesi nel paesino palermitano e papà, che si adoperava affinché partecipassimo alle tradizioni locali, ci spiegò tutto sulla festa l'’Immacolata Concezione: "E' la patrona della città di Palermo, unitamente a Santa Rosalia e San Benedetto e i preparativi per la festa iniziano qualche giorno prima, con l’addobbo dell’albero e la preparazione del presepe, mentre le strade si vestono a festa con luci multicolori. E il pomeriggio dell’8 dicembre si assiste alla grande processione del Simulacro argenteo della Madonna dalla chiesa di San Francesco d’Assisi fino al Duomo a cui assisteva molta gente, sia in strada che affacciata al balcone di casa esponendo, secondo un’antica tradizione, la tovaglia più bella o la coperta ricamata a mano”.
Ma i palermitani, continuò mio padre, non mancano di celebrare questa ricorrenza anche a tavola: Immancabile pietanza, caratteristica proprio di questo periodo, è “u sfinciuni”, nato per sostituire, durante le feste, il solito pane, arricchito con altri ingredienti e si mangiano “ i ricce cù sucu ri cutini”, lasagne (tagliatelle larghe) al sugo con carne di maiale e salsicce al seme di finocchio, per sancire, con questo cibo, l’arrivo dell’inverno; e ancora le verdure in pastella e il baccalà fritto, gustati insieme ai parenti ed amici per poi giocare a carte. Mia sorella Agnese, timidamente, fece notare a mio padre che, dal racconto, emergeva l’attenzione dei palermitani all’aspetto profano della festa: “Ti ricordi, papà, disse, come durante la processione di Santa Rosalia, molti partecipanti, “ con disinvoltura” , lasciavano la processione per fermarsi alle bancarelle, postate ai lati della strada, per mangiare “u sfinciuni” e le “crocchè” e, con la stessa “naturalezza”, riprendevano il cammino dietro il grande carro della Santa? E ti raccontammo che durante la famosa “acchianata” a Monte pellegrino le tante bancarelle e punti di ristoro erano stati “assaltati” dai pellegrini che, fu subito chiaro, aspettavano quel momento da quando erano partiti, trasformando un momento spirituale in un vero e proprio divertimento, in una scampagnata, da terminare con una bella mangiata, e lo verificammo ancora, continuò mia sorella, durante la festa di San Martino dove l’aspetto gastronomico la fece da padrona: Gli anelletti al forno, “u adduzzu agglassatu”( galletto) con le patate, i primi cavolfiori affogati, la prima ricotta e il pranzo si concludeva con le “sfinci” di San Martino, i biscotti “sammartinelli” e le “reginelle” o viscotti cà gigiulena. Le donne, infatti, trascorrevano le giornate in cucina a preparare pietanze della tradizione e proprio per questo, ci ricordò la vicina di casa, era buona creanza, che non si andasse in casa altrui il giorno 10 e soprattutto l’11 novembre perché tutte le donne erano alle prese con i manicaretti e una visita improvvisa, rallentava il lavoro ed equivaleva alla tacita richiesta d’invito. Mio padre, sorridendo sotto i baffi, li portava veramente, perché probabilmente gli era piaciuta l’analisi attenta, fornita da mia sorella, rispose: Le feste religiose hanno sempre due facce della medaglia, una sacra e l’altra profana e la cucina ha un ruolo importante. In occasione delle grandi feste, vengono preparati piatti di solito assenti dalle nostre tavole, durante il resto dell’anno e per i palermitani, il cibo è l’elemento primario di un momento sacrale, “Santo veni, festa fai” (arriva il festeggiamento del santo e fai festa), perché si sta insieme ma anche perché la preparazione di un certo cibo svolge un ruolo importante, addirittura simbolico, nel ricordare il significato che sta dietro al piatto come “i viscotti cà gigiulena”o reginelle (biscotti con i semi di sesamo), biscotti secchi di pasta frolla, buoni, friabili e fragranti, ottimi a colazione con il caffè o dopo il pasto con un vino liquoroso. E sono veramente speciali i “viscotti cà giagiulena”; io li preparo a casa da sempre e il loro odore e sapore sono inconfondibili ma quando li gusto a Palermo è tutta un’altra cosa. Spero vogliate provarci, sono deliziosi!
I viscotti cà
gigiulena ( le reginelle)
Ingredienti
500 g.
di farina 00; 200 g.
di zucchero; 150 g.
di burro, 200 g.
di sesamo; 2 uova; 20 ml di latte, 1 bustina di lievito Bertolini.
Preparazione
In una terrina, mescolare la farina, lo zucchero, il lievito, il burro, le uova, 2 pizzichi di sale. Amalgamare con energia e a lungo fino ad ottenere un composto piuttosto consistente, quindi far riposare l’impasto per 2 ore.
Trascorso questo tempo, formate dei bastoncini della lunghezza di cinque centimetri e passateli per bene nei semi di sesamo fino a completa copertura della loro superficie ( se necessario spennellateli con poco latte per fare aderire bene i semi). Trasferire i biscotti in una teglia rivestita con carta da forno e cuocere in forno preriscaldato a 200° per 10 m, finché i biscotti non avranno assunto un colorito dorato, Quindi continuare la cottura a 160° per altri 10/15 m affinché i biscotti si asciughino per bene al loro interno.
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