E mia madre disse: Sono feste di città!
Era la prima Pasqua, nel palermitano e, curiosi di conoscere come si vivesse la festa, ci siamo rivolti ai parenti; sollecito fu lo zio Guido che, con poche parole, ci spiegòle fasi della Pasqua palermitana, la visita dei sepolcri, il giovedì santo, la via Crucis del
venerdì e finalmente il giorno di Pasqua con il rituale della santa messa, del ramo d'ulivo e la palma benedetti e infine l’acquisto in
dolceria, come i siciliani chiamano le pasticcerie, degli agnelli pasquali,
fatti di pasta reale e “i pupi cu l’ovu " che avrebbero accompagnato il pranzo, naturalmente, con i parenti e relativo scambio dei regali, per i bambini. Ed io chiesi: Quando
prepareremo i dolci della festa? Te l’ho già spiegato, dice zio Guido, li compreremo in
pasticceria, solo le “massaie” preparano i dolci in casa, mentre le zie prepareranno il pranzo pasquale con manicaretti, particolarmente
succulenti.
“Ma zio, risposi, é tradizione che prima della festa ci si riunisca in famiglia, per la preparazione dei"cicilii" o "i pupi ccu l’ova", come li chiamate voi, e mentre zie e parenti si dedicano ad arricchire il dolce, noi bambini ci divertiamo a decorarli. Il silenzio dello zio mi rattristò a tal punto da farmi correre da mia madre che, cogliendo il mio stato d’animo, mi rassicurò promettendomi che il giorno dopo, giovedì santo, come era sempre stata nostra tradizione, ci saremmo ritrovati, in cucina, per la preparazione dei dolci di Pasqua. Ma io volevo capire: Mammina, perché la tradizione, dai parenti palermitani, è vissuta, senza particolare complicità? La risposta fu concisa e precisa: Sono feste di città e, senza darmi il tempo di chiedere altro, aggiunse, tra qualche anno, capirai.
Era la prima Pasqua, nel palermitano e, curiosi di conoscere come si vivesse la festa, ci siamo rivolti ai parenti; sollecito fu lo zio Guido che, con poche parole, ci spiegò
“Ma zio, risposi, é tradizione che prima della festa ci si riunisca in famiglia, per la preparazione dei"cicilii" o "i pupi ccu l’ova", come li chiamate voi, e mentre zie e parenti si dedicano ad arricchire il dolce, noi bambini ci divertiamo a decorarli. Il silenzio dello zio mi rattristò a tal punto da farmi correre da mia madre che, cogliendo il mio stato d’animo, mi rassicurò promettendomi che il giorno dopo, giovedì santo, come era sempre stata nostra tradizione, ci saremmo ritrovati, in cucina, per la preparazione dei dolci di Pasqua. Ma io volevo capire: Mammina, perché la tradizione, dai parenti palermitani, è vissuta, senza particolare complicità? La risposta fu concisa e precisa: Sono feste di città e, senza darmi il tempo di chiedere altro, aggiunse, tra qualche anno, capirai.
Quanto mi mancava Paternò, la
mia piccola strada, un paesino in miniatura, il via vai dei vicini di casa, le
grida di gioia dei tanti bambini e gli odori di forno: Era una festa di popolo
e di emozioni, tutto seguiva un copione millenario, in uno scenario naturale.
I rituali si aprivano la
domenica delle palme, che rappresentava il momento gioioso della festività,
rappresentato da grandi pale di palme e ramoscelli d’ulivo momento in cui in
gruppo, la mia famiglia e i vicini di casa, si andava in chiesa, dopo aver
comprato, da artigiani abilissimi, i simboli religiosi che, dopo la
benedizione, venivano posti dinanzi all’immagine della Madonna, il nonno invece
li portava in campagna, a tutela, per le loro virtù miracolose, diceva lui,
della sua proprietà, della casetta rurale e contro i temporali.
Al clima festoso delle Palme,
subentrava il massimo raccoglimento della Settimana Santa, in cui si rinnovavano
riti antichi e solenni che si aprivano con il giovedì Santo e la visita dei
sepolcri, ma quella particolarmente commovente e partecipativa era la
processione storica dell’Addolorata del venerdì, la via crucis, che noi,
piccola comunità, seguivamo insieme a tutto il paese. Dalla collina, la Madonna e il figlio morto
scendevano a valle per dare vita alla processione più straordinaria e
suggestiva dell’anno: Il corteo si snodava, silenzioso e mesto, per le vie del
paese e, anche se era quasi primavera, sembrava che anche il cielo esprimesse
l’angoscia dell’evento.
E’ ancora la Collina storica era il
luogo che accoglieva, con trionfo, il Cristo risorto, con la bandiera bianca, e,
da lì, la processione scendeva verso il fondo valle, accompagnato dai tanti
fedeli e da noi bambini felici, con il vestitino nuovo e le bimbe anche con il
fiocchetto tra i capelli.
E a mezzogiorno, sciolte le
campane, si festeggiava la
Pasqua , la festa del perdono per eccellenza, “la festa de li
festi” che rappresentava, per la gente, l’occasione per riappacificarsi con chi
si aveva avuto qualche screzio: In qualsiasi luogo si fosse, si baciava per
terra, e lo facevano tutti, e si baciavano conoscenti e amici, scambiandosi gli
auguri e noi bambini tornavamo a casa con i regalini, ricevuti dai parenti e
amici, il sacchetto di “cosaduci” e “u ciciliu”, il dolce fatto di pasta di
pane lievitata e decorato da uova sode e glassa di zucchero che si tramanda di
generazione in generazioni e grazie ai suoi sapori e odori che emana, permette
di conoscere le antiche tradizioni siciliane.
E proprio“i nostri cicilii” regalammo agli zii e ai
cuginetti di cui eravamo ospiti, il giorno di Pasqua; quanta gioia e curiosità
negli occhi di Nando e Salvatore, che continuavano ad osservare i coniglietti
decorati a mano che portavano, sulle orecchie, il nome di ognuno di loro: Era un
dolce speciale, preparato secondo la tradizione paternese con pasta
artisticamente intrecciata, incastonata di uova sode e arricchite da palline colorate,
con cui io stessa, avevo arricchito gli animaletti.
Così era vissuta ed è ancora
oggi si vive la Pasqua ,
nella mia famiglia: I nipoti fanno le richieste e la sottoscritta, la settimana
che precede la grande festa, prepara "i cilicii" personalizzati, e le emozioni
affiorano prorompenti, risvegliati anche dagli odori che si diffondono in tutta la
casa, ed è facile ritrovarsi nella grande cucina, quella dei nonni, dove tutto aveva sapore di genuinità e fratellanza..