mercoledì 16 novembre 2016

E..vivemmo la Pasqua palermitana

                           
E mia madre disse: Sono feste di città!
Era la prima Pasqua, nel palermitano e, curiosi di conoscere come si vivesse la festa, ci siamo rivolti ai parenti; sollecito fu lo zio Guido che, con poche parole, ci spiegò le fasi della Pasqua palermitana,  la visita dei sepolcri, il giovedì santo, la via Crucis del venerdì e finalmente  il giorno di Pasqua con il rituale della santa messa, del ramo d'ulivo e la palma benedetti e infine l’acquisto in dolceria, come i siciliani chiamano le pasticcerie, degli agnelli pasquali, fatti di pasta reale e “i pupi cu l’ovu " che avrebbero accompagnato il pranzo, naturalmente, con i parenti e relativo scambio dei regali, per i bambini. Ed io chiesi: Quando prepareremo i dolci della festa? Te l’ho già spiegato, dice zio Guido, li compreremo in pasticceria, solo le “massaie” preparano i dolci in casa, mentre le zie prepareranno il pranzo pasquale con manicaretti, particolarmente succulenti.
“Ma zio, risposi, é tradizione che prima della festa ci si riunisca in famiglia, per la preparazione dei"cicilii" o "i pupi ccu l’ova", come li chiamate voi, e mentre zie e parenti si dedicano ad arricchire il dolce, noi bambini ci divertiamo a decorarli. Il silenzio dello zio mi rattristò a tal punto da farmi correre da mia madre che, cogliendo il mio stato d’animo, mi rassicurò promettendomi che il giorno dopo, giovedì santo, come era sempre stata nostra tradizione, ci saremmo ritrovati, in cucina, per la preparazione dei dolci di Pasqua. Ma io volevo capire: Mammina, perché la tradizione, dai parenti palermitani, è vissuta, senza particolare complicità? La risposta fu concisa e precisa: Sono feste di città e, senza darmi il tempo di chiedere altro, aggiunse, tra qualche anno, capirai.
Quanto mi mancava Paternò, la mia piccola strada, un paesino in miniatura, il via vai dei vicini di casa, le grida di gioia dei tanti bambini e gli odori di forno: Era una festa di popolo e di emozioni, tutto seguiva un copione millenario, in uno scenario naturale.
I rituali si aprivano la domenica delle palme, che rappresentava il momento gioioso della festività, rappresentato da grandi pale di palme e ramoscelli d’ulivo momento in cui in gruppo, la mia famiglia e i vicini di casa, si andava in chiesa, dopo aver comprato, da artigiani abilissimi, i simboli religiosi che, dopo la benedizione, venivano posti dinanzi all’immagine della Madonna, il nonno invece li portava in campagna, a tutela, per le loro virtù miracolose, diceva lui, della sua proprietà, della casetta rurale e contro i temporali.
Al clima festoso delle Palme, subentrava il massimo raccoglimento della Settimana Santa, in cui si rinnovavano riti antichi e solenni che si aprivano con il giovedì Santo e la visita dei sepolcri, ma quella particolarmente commovente e partecipativa era la processione storica dell’Addolorata del venerdì, la via crucis, che noi, piccola comunità, seguivamo insieme a tutto il paese. Dalla collina, la Madonna e il figlio morto scendevano a valle per dare vita alla processione più straordinaria e suggestiva dell’anno: Il corteo si snodava, silenzioso e mesto, per le vie del paese e, anche se era quasi primavera, sembrava che anche il cielo esprimesse l’angoscia dell’evento.
E’ ancora la Collina storica era il luogo che accoglieva, con trionfo, il Cristo risorto, con la bandiera bianca, e, da lì, la processione scendeva verso il fondo valle, accompagnato dai tanti fedeli e da noi bambini felici, con il vestitino nuovo e le bimbe anche con il fiocchetto tra i capelli.
E a mezzogiorno, sciolte le campane, si festeggiava la Pasqua, la festa del perdono per eccellenza, “la festa de li festi” che rappresentava, per la gente, l’occasione per riappacificarsi con chi si aveva avuto qualche screzio: In qualsiasi luogo si fosse, si baciava per terra, e lo facevano tutti, e si baciavano conoscenti e amici, scambiandosi gli auguri e noi bambini tornavamo a casa con i regalini, ricevuti dai parenti e amici, il sacchetto di “cosaduci” e “u ciciliu”, il dolce fatto di pasta di pane lievitata e decorato da uova sode e glassa di zucchero che si tramanda di generazione in generazioni e grazie ai suoi sapori e odori che emana, permette di conoscere le antiche tradizioni siciliane.
E proprio“i  nostri cicilii” regalammo agli zii e ai cuginetti di cui eravamo ospiti, il giorno di Pasqua; quanta gioia e curiosità negli occhi di Nando e Salvatore, che continuavano ad osservare i coniglietti decorati a mano che portavano, sulle orecchie, il nome di ognuno di loro: Era un dolce speciale, preparato secondo la tradizione paternese con pasta artisticamente intrecciata, incastonata di uova sode e arricchite da palline colorate, con cui io stessa, avevo arricchito gli animaletti.
Così era vissuta ed è ancora oggi si vive la Pasqua, nella mia famiglia: I nipoti fanno le richieste e la sottoscritta, la settimana che precede la grande festa, prepara "i cilicii" personalizzati, e le emozioni affiorano prorompenti, risvegliati anche dagli odori che si diffondono in tutta la casa, ed è facile ritrovarsi nella grande cucina,  quella dei nonni, dove tutto  aveva sapore di genuinità e fratellanza..